In tempi di emergenza è tutto decisamente più complesso, regna il caos, le attività si fanno sempre più frenetiche si susseguono provvedimenti legislativi nazionali, regionali e locali, la confusione la fa da padrone ma gli infermieri sono sempre protagonisti in prima linea unitamente a tutti gli altri professionisti del sistema sanitario nazionale, sono giustamente definiti da tutti come degli eroi, ma sono anche le occasioni nelle quali molti dirigenti aziendali di dubbia competenza, siano essi pubblici o privati, approfittano della loro posizione dominante per esercitare illegittimamente poteri che non hanno, distorcendo a loro piacimento disposizioni normative d’urgenza emanate dal governo che avevano lo scopo di alleviare il carico emotivo e lavorativo che tutti i protagonisti della sanità stanno affrontando in questo momento.
Molte sono state le previsioni di legge, per lo più in forma di decreti d’urgenza e di atti regolamentari (DPCM) indirizzate appunto a tale scopo, ma molto spesso ci si è resi conto dell’enorme confusione che ne scaturisce che può compromettere la reale portata ed efficacia diretta di tali disposizioni, la loro applicabilità e soprattutto l’interpretazione da dare a tali atti.
Si inizia con il Decreto Legge n. 23 febbraio 2020, n. 6 “Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19” convertito in legge con la Legge 5 marzo 2020, n. 13 “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19” abrogato poi, ad esclusione degli artt. 3, comma 6-bis e 4.
Con il successivo DPCM 11 marzo 2020 “Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull’intero territorio nazionale” iniziano i provvedimenti diretti a quel personale (medico e infermieri in primis) che operano direttamente sul fronte del contagio, nel tentativo di agevolarli, visto che i provvedimenti precedenti avevano di fatto chiuso tutte le attività scolastiche pubbliche e private, interrotto le attività di baby-sitting e persino quel supporto familiare costituito dai “nonni” che da sempre hanno rappresentato una insostituibile modalità di gestione dei figli per tutte quelle famiglie in cui tutti e due i genitori sono lavoratori, a maggior ragione se questi poi svolgono attività in ambito ospedaliero o sanitario.
Il DPCM in oggetto infatti, all’art. 1, comma 7, lett. b) si prefiggeva un duplice scopo, da una parte prevedeva di garantire un supporto a tutte le famiglie, consentendo a tutti i lavoratori senza distinzioni di profilo, di poter rimanere a casa utilizzando tutti gli istituti previsti dalla contrattazione collettiva “siano incentivate le ferie e i congedi retribuiti per i dipendenti nonché gli altri strumenti previsti dalla contrattazione collettiva”; dall’altro, con l’invito a tutti a rimanere a casa, nell’intenzione del legislatore vi era anche la necessità di incentivare il più possibile l’allontanamento di tutti quei lavoratori non direttamente impegnati nell’emergenza Covid-19, al sol scopo di ridurre al minimo la presenza sul luogo di lavoro, favorendo così il più possibile una riduzione numerica di personale onde consentire una minore diffusione del contagio.
Molti datori di lavoro, lungimiranti, hanno immediatamente recepito le intenzioni del legislatore contenute nel DPCM succitato, sebbene lo stesso non fosse di natura precettiva ma regolamentare e di indirizzo, lasciando quindi alle aziende ampio spatium deliberandi in merito alle modalità con le quali adottare i consigli contenuti nella disposizione (provvedimento n. 5 e 8 del D.G. ASL Roma 1 in allegato) altri, si sono mostrati molto meno elastici e tendenzialmente poco inclini ad agevolare i dipendenti nella fruizione dei vari istituti contrattuali, ancorché di rilevanza costituzionale, hanno infatti interpretato in maniera restrittiva il contenuto dei vari provvedimenti bloccando sul nascere qualsiasi richiesta di permessi o congedi da parte dei lavoratori stessi.
Abbiamo ricevuto, come associazione, decine di segnalazioni da tutte le parti d’Italia in merito a queste vicende e siamo pertanto prontamente intervenuti attraverso diffide, denunce, segnalazioni e persino con lettere dirette al governo.
Dopodiché, visto il propagarsi ulteriore del contagio con centinaia di ricoveri in terapia intensiva e l’instancabile lavoro svolto dalle migliaia di infermieri, medici e personale sanitario vario di tutta Italia, il Governo ha pensato di incentivare ulteriormente queste professionalità, questa volta con un decreto legge ad hoc, in cui ha inserito articoli esplicitamente finalizzati ad incentivare solo determinati lavoratori, nella fattispecie, medici, infermieri e operatori di supporto.
Il D.L. n. 18 del 17 marzo 2020, rubricato al Capo II: “Norme speciali in materia di riduzione dell’orario di lavoro e di sostegno ai lavoratori”, all’art. 23, comma 1, dello stesso capo II prevedeva: “1. Per l’anno 2020 a decorrere dal 5 marzo, in conseguenza dei provvedimenti di sospensione dei servizi educativi per l’infanzia e delle attività didattiche nelle scuole di ogni ordine e grado, di cui al Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 4 marzo 2020, e per un periodo continuativo o frazionato comunque non superiore a quindici giorni, i genitori lavoratori dipendenti del settore privato hanno diritto a fruire, ai sensi dei commi 9 e 10, per i figli di età non superiore ai 12 anni, fatto salvo quanto previsto al comma 5, di uno specifico congedo, per il quale è riconosciuta una indennità pari al 50 per cento della retribuzione, calcolata secondo quanto previsto dall’articolo 23 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, ad eccezione del comma 2 del medesimo articolo. I suddetti periodi sono coperti da contribuzione figurativa”;
Al successivo art. 24 del medesimo Capo II, veniva concesso un ulteriore permesso, o meglio, un’estensione del permesso di cui alla L. n. 104/92 “Estensione durata permessi retribuiti ex art. 33, legge 5 febbraio 1992, n. 104”
1. Il numero di giorni di permesso retribuito coperto da contribuzione figurativa di cui all’articolo 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, è incrementato di ulteriori complessive dodici giornate usufruibili nei mesi di marzo e aprile 2020. 2. Il beneficio di cui al comma 1 è riconosciuto al personale sanitario compatibilmente con le esigenze organizzative delle aziende ed enti del Servizio sanitario nazionale impegnati nell’emergenza COVID-19 e del comparto sanità.
Di talché, l’esegesi giuridica della disposizione in oggetto evidenzia indubbiamente che l’estensione del congedo in parola è lasciato alla discrezionalità delle aziende datrici di lavoro in base alle loro esigenze organizzative interne, derivanti soprattutto dall’emergenza epidemica in corso, un ampio spatium decidendi che priva però di fatto i lavoratori di un’ulteriore margine di permessi costituzionalmente garantiti.
In effetti, l’articolo della disposizione in esame, essendo evidentemente di natura discrezionale, ha comportato per la quasi totalità delle aziende sanitarie la decisione fin da subito di impedirne l’utilizzo attraverso l’emanazione di circolari interne appena 24 ore dopo la pubblicazione del decreto in gazzetta ufficiale.
Al medesimo Capo II, all’art. 25, viene previsto un ulteriore congedo, questa volta per il pubblico impiego, riferibile ai congedi parentali: “Congedo e indennità per i lavoratori dipendenti del settore pubblico, nonché bonus per l’acquisto di servizi di baby-sitting per i dipendenti del settore sanitario pubblico e privato accreditato, per emergenza COVID -19” lo scopo di detto congedo, come per il precedente di cui all’art. 24, era finalizzato a concedere a quel personale privo dei permessi di cui all’art. 24, comma 1, 2 e 3, un periodo equivalente corrispondente a 15 gg., per altro cumulabili con i precedenti permessi succitati.
All’interno del medesimo decreto, all’art. 63, rubricato come “Premio ai lavoratori dipendenti” si prevede inoltre:
1. 1. Ai titolari di redditi di lavoro dipendente di cui all’articolo 49, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, che possiedono un reddito complessivo da lavoro dipendente dell’anno precedente di importo non superiore a 40.000 euro spetta un premio, per il mese di marzo 2020, che non concorre alla formazione del reddito, pari a 100 euro da rapportare al numero di giorni di lavoro svolti nella propria sede di lavoro nel predetto mese.
Un premio, questa volta di natura economica, per il lavoro svolto nel periodo di emergenza da parte di tutti quei lavoratori che hanno contribuito a risollevare le sorti della nazione indebolita dall’epidemia del Covid-19.
Orbene, nei decreti successivi e nei vari DPCM non si ritrovano più permessi che tendano ad agevolare i lavoratori dipendenti se non incentivi di natura economica riferiti però ad altre categorie produttive come partite iva, imprese, imprenditoria ed industria.
Per quello che qui interessa però è, capire come mai alcune aziende sanitarie sia siano sottratte in modo del tutto illegittimo alla concessione dei permessi di cui al D.L. 17 marzo 2020 n. 18, nello specifico, ai permessi degli artt. 24 e 25.
Per l’art. 24 abbiamo già detto che in realtà nel decreto era ben evidente che la concessione di detti permessi fosse riferibile solo a circostanze del tutto particolari e soprattutto concessi solo ed esclusivamente su sindacato delle direzioni generali che non hanno perso tempo ad emanare circolari di diniego a tal proposito, lasciando così l’amaro in bocca a coloro i quali pur usufruendo dei permessi di cui alla L. n. 104 del 1992 si vedevano negare la possibilità di poter assistere i loro congiunti per altri 12 gg. aggiuntivi totali nei mesi di marzo e aprile.
La postilla inserita nel decreto; compatibilmente con le esigenze organizzative delle aziende di fatto, ha solo in rari casi consentito la concessione di detti permessi ai dipendenti, forse qualche azienda illuminata lo ha fatto, ma per il resto, il nulla.
Il congedo, di cui all’art. 25 del succitato decreto-legge invece, sin dal suo preambolo iniziale infatti, prevede; ”Congedo e indennità per i lavoratori dipendenti del settore pubblico, nonché bonus per l’acquisto di servizi di baby-sitting per i dipendenti del settore sanitario pubblico e privato accreditato, per emergenza COVID -19” chiarendo il complesso di prerogative e privilegi che attribuiscono una determinata posizione di vantaggio a protezione di specifici interessi individuali meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico per una cerchia ristretta di lavoratori, sia pubblici che privati e che ricadono nelle seguenti categorie: medici, infermieri, tecnici di laboratorio biomedico, tecnici di radiologia medica e operatori sociosanitari.
Nessuna altro è ricompreso in questa lista, la ratio dell’istituto quindi, e le sue precipue finalità, secondo il principio del favor prestatoris, era finalizzata a riconoscere una qualche forma di privilegio solo a coloro i quali, si sono prodigati nel salvataggio di vite umane, anche mettendo a rischio la propria salute.
Vieppiù che, il legislatore ha quindi voluto riconoscere questo particolare istituto soprattutto per consentire a famiglie con all’interno uno o più sanitari, la possibilità di poter accudire i propri figli costretti a casa dalla chiusura di tutti gli istituti scolastici d’Italia, nessuno escluso, non essendo possibile, per altro, fare ricorso ai nonni materni o paterni, costretti anch’essi all’isolamento forzato, ne per altro, era prevedibile una diversa modalità di lavoro in sanità del tipo smart working utilizzato oramai su vasta scala in tutti gli ambiti ad esso compatibili.
Non solo, con il D.L. n. 18/20, sempre all’art. 25, comma 3, si specifica che il bonus per l’acquisto di servizi di baby-sitting per l’assistenza e la sorveglianza dei figli minori fino a 12 anni di età, previsto dall’articolo 23, comma 8, “è in alternativa alla prestazione di cui al comma 1” ed è riconosciuto nel limite massimo complessivo di 1000 euro.
Il bonus viene erogato mediante il libretto famiglia di cui all’articolo 54-bis, legge 24 aprile 2017, n. 50.
È del tutto evidente quindi che la facoltà di scelta di optare per una fattispecie piuttosto che per l’altra, viene lasciata al dipendente e non all’azienda datrice di lavoro, che nei casi in cui avesse interpretato la disposizione nel senso del precedente art. 24 del medesimo decreto, avrebbe certamente commesso un illecito, ecco spiegata la ratio del successivo intervento normativo del 18 marzo 2020.
Ma non solo, anche le circolari INPS n. 1281 del 20 marzo 2020, e n. 44 del 24 marzo 2020 esplicative delle modalità di fruizione dei suddetti congedi, hanno espressamente indicato che il D.L. n. 18/20 ha effetto retroattivo, ab inizio al 5 marzo 2020, permettendo così a tutti coloro che avevano già usufruito di altri istituti contrattuali ai fini della sorveglianza e della custodia dei propri figli, di poter, su richiesta, attraverso regolare domanda, convertire le predette giornate con il nuovo congedo di cui all’art. 25, comma 3.
Quindi, quello che andava sicuramente concesso a tutti i dipendenti e non certamente in modo discrezionale, era il permesso di 15 gg. al 50% di cui all’art. 25 del D.L. 17 marzo 2020, n. 18 c.d. “Cura Italia”, ma è qui che ci sono stati dei veri e propri abusi, un po’ ovunque, ma il caso emblematico è quello dell’azienda sanitaria ASST Melegnano-Martesana che non solo ha impedito ad un dipendente nostro iscritto di prendere il congedo come previsto nel decreto, ma addirittura ha chiesto un parere legale ad un importante studio legale di Milano pagandone la relativa parcella, al fine di avvalorare la tesi del tutto “personalistica” proposta dalla dirigenza infermieristica e amm.va dell’azienda medesima, ma veniamo ai fatti.
In data 26 marzo 2020 il dipendente, il Dott. Giuseppe Palladino, inviava regolare richiesta di congedo di cui all’art. 25 del D.L. “Cura Italia” per usufruire appunto del congedo suddetto (all. 1), per altro, va anche detto che l’azienda di Melegnano aveva sin da subito predisposto i nuovi moduli per il congedo, indicando nel frontespizio proprio la norma del decreto legge del 17 marzo 2020 n. 18 “Cura Italia”, consapevole quindi, della necessità di adeguarsi alla nuova disposizione normativa (all.1)
Ebbene in data 26 marzo 2020, il giorno stesso quindi, il dirigente delle professioni sanitarie (DAPSS) il Dott. Ballarini rispedisce il modulo di richiesta al mittente negando il congedo suddetto con l’aggiunta di una postilla scritta a penna sullo stesso modulo “parere negativo richiedere comma 3” che tradotto vuol dire, si nega il permesso di cui all’art. 25 del D.L. 17 marzo 2020 n. 18, ma si concede invece il comma 3 che è riferibile all’incentivo economico previsto dal medesimo articolo e che è fino a 1000 euro per i dipendenti pubblici rientranti nelle categorie dei medici, infermieri e personale sanitario.
È evidente quindi che l’intento del Dirigente il Dott. Ballarini, a parte la palese illegittimità nel negare il congedo suddetto, concedeva però allo stesso istante la possibilità di avere i 1000 euro, si badi bene, pagati dallo Stato come incentivo economico in sostituzione dei permessi richiesti, un atto di “astuzia” che negava un diritto di legge, scaricando gli oneri del bonus direttamente sullo stato invece che sull’azienda datrice di lavoro (all. 1).
Non solo, il giorno seguente dopo le insistenze via mail del Dott. Palladino sulla concessione di detti permessi, la responsabile amm.va la Dott.ssa Pezzolla invia al richiedente un parere nel quale ribadisce che la legge consente di usufruire del bonus di 1000 euro, per altro “cospicuo usa questo proprio questo termine (all. 2) rimarcando il fatto quindi che l’incentivo economico sarebbe stato molto più conveniente per il Palladino rispetto ai giorni di congedo, senza per nulla menzionare la possibilità di optare per le giornate di congedo in alternativa al bonus, ma anzi facendo credere che la ratio della disposizione fosse solo indirizzata al bonus anziché al congedo, con l’evidente interesse diretto solo a disincentivare quindi l’utilizzo delle giornate di permesso ed in palese contrasto non solo con il significato letterale della norma in oggetto, ma addirittura negando il precedente DPCM 11 marzo 2020 che all’art. 1, comma 7, lett. b) invitava invece le aziende sanitarie a consentire ai propri dipendenti di usufruire dei congedi ordinari pregressi e dei permessi contrattualmente previsti, al fine di ridurre la presenza del personale non necessario all’interno delle aziende.
Vieppiù che la stessa Dott.ssa Pezzolla, dichiara apertamente nella lettera che “sulla base di detta interpretazione uniforme della norma…omissis” interpretazione uniforme di chi? Forse solo quella della ASST di Melegnano, per altro non condivisa da nessun’altra azienda sanitaria, inoltre non ci risulta che le aziende possano interpretare le norme e farle proprie, semmai volessero avere la corretta interpretazione dovrebbero chiederlo all’ARAN.
Vistosi quindi negato il congedo, il Dott. Palladino chiede all’AADI supporto legale, la quale, prontamente invia una diffida alla ASST di Melegnano, mettendo in conoscenza sia il prefetto di Milano che l’Ispettorato del Lavoro, spiegando che l’interpretazione data della disposizione normativa era del tutto personale e non corrispondente alle ragioni implicite nella norma stessa che vedevano il congedo come forma di “premialità” per i dipendenti coinvolti a fronteggiare l’epidemia in corso e si chiedeva quindi di rettificare la precedente determinazione interna ed annullare in autotutela il diniego.
Trascorsa una settimana, riceviamo una diffida dallo studio legale Costantino & Partner, un affermato studio legale Milanese, che ci scrive dietro incarico ed in difesa (con relativa parcella) delle ragioni della ASST di Melegnano, che evidentemente preferisce spendere dei soldi pubblici per farsi difendere da studi legali privati anziché utilizzare l’avvocatura interna all’azienda, ma tant’è.
Ma a parte l’esborso economico, pagato dai contribuenti, quello che ci lascia stupefatti è che, a parte le minacce vacue e risibili di futuri ed eventuali contenziosi giudiziari, lo stesso studio legale nel contestarci le deduzioni espresse nella diffida attraverso virtuosismi ed enunciazioni dogmatiche, di fatto, ammette invece che ciò a cui avevamo fatto esplicito riferimento nella diffida, conferma esattamente ciò che è espresso nella norma di riferimento, chapeau!
Il prestigioso studio legale infatti, mentre nella diffida a noi inviata ci contesta la scarsa conoscenza delle norme e del diritto in generale “…denotare una errata interpretazione della legge e una scarsa preparazione nella materia”, proprio nella sua pagina internet scrive una monografia sull’argomento (all. 3) nella quale esplicitamente ci da ragione su tutto, auspicandosi per altro per il futuro che tali permessi (di cui all’art. 25 del D.L. “Cura Italia”) possano essere anch’essi soggetti a discrezionalità del datore di lavoro (sic!), ecco il link incriminato: https://www.costantinoandpartners.com/covid19/news-covid-19/anche-i-15-giorni-aggiuntivi-di-congedo-parentale-dovrebbero-essere-soggetti-alle-esigenze-organizzative/
La memorabile monografia, si intitola proprio: “Anche i 15 giorni aggiuntivi di congedo parentale dovrebbero essere soggetti alle esigenze organizzative” una divertente parodia del film avevate ragione ma siamo costretti a negare anche l’evidenza (all.4).
E si, proprio così, la monografia fa una precisa e puntuale indicazione delle decretazioni d’urgenza intraprese dal governo in queste settimane, spiegando e specificando, come del resto avevamo fatto noi nella diffida indirizzata all’AAST di Melegnano, la differenza tra i permessi di cui all’art. 24 del D.L. “Cura Italia” riferibili alla L. n. 104/92, ovvero, quelli riferibili all’art. 25 del medesimo decreto, ossia i permessi di 15 gg. aggiuntivi al 50%, ma con una differenza sostanziale, mentre l’AADI aveva fin da subito chiarito che i primi erano soggetti a discrezionalità amm.va. nella loro concessione, i secondi, ossia i permessi di cui all’art. 25, (congedo parentale al 50%) no, essendo la norma una norma di chiusura che al suo interno indica l’unica ed eventuale alternativa, solo con la concessione del bonus bebè, ma senza lasciare dubbi interpretativi su una eventuale discrezionalità o meno del datore di lavoro.
Infatti, nella monografia si legge: “Manca, tuttavia, un’analoga previsione per quanto riguarda il periodo di 15 giorni ulteriori di congedo parentale introdotti dall’art. 23 del D.L. 18/20 (art. 25 per i lavoratori del settore pubblico), per i quali la lettera della norma sembrerebbe rendere possibile la richiesta del congedo in qualunque caso.
Quindi, gli illustri giuristi dello studio succitato, da un lato ci contestano che non siamo esperti nella materia perché abbiamo interpretato la norma in modo errato e del tutto personale, ma dall’altro invece ci gratificano dandosi la zappa sui piedi (sic!).
E ancora, “Per questo motivo l’Aris, al momento dell’entrata in vigore del “Cura Italia”, ha richiesto chiarimenti al Governo, sottolineando che uno dei punti cardine del Decreto sia quello di potenziare il SSN, ritenendo «…, paradossale che un testo legislativo finalizzato a fronteggiare l’emergenza sanitaria COVID-19, ne ostacolasse l’adeguata gestione rendendo ancor più rilevante la carenza di personale delle strutture».
Ma vieppiù che, “In ogni caso, vista la portata della norma e le discordanze interpretative cui sopra si è fatto riferimento, sarà comunque auspicabile che pervenga un pronto riscontro da parte del Governo”.
Avete letto bene sì, hanno detto auspicabile, mentre nella diffida a noi indirizzata asserivano che il diniego opposto al Palladino era del tutto legittimo!
Lo studio legale Costantino & P. ha quindi correttamente interpretato la norma, ossia, che è un obbligo del datore di lavoro concedere al dipendente che ne faccia la relativa richiesta i congedi di cui all’art. 25 del D.L. “Cura Italia”, ma quando dietro il pagamento di una parcella deve scegliere tra una interpretazione giuridicamente corretta e una invece favorevole al committente, opta per la seconda, a ben vedere anche giustamente, visto che fa gli interessi del cliente, ma si sono dimenticati di rimuovere la monografia nella quale dichiaravano contro se stessi l’esatto contrario, capita in questi tempi di confusione e di isolamento forzato.
Orbene, quindi, l’AADI come al solito aveva visto giusto, la diffida inoltrata alla ASST di Melegnano era dal punto di vista delle deduzioni di diritto impeccabile ed inoppugnabile ed ha dimostrato come la Dirigenza della stessa ASST nelle figure del Dott. Ballarini e della Dott.ssa Pezzolla abbiano illegittimamente negato un giusto diritto ad un dipendente in assoluto spregio della correttezza e dei principi su cui la P.A. dovrebbe incentrare il suo operato, ossia, i principi di legalità, buon andamento, imparzialità, oltreché i principi contenuti agli artt. 1 e 3 del DPR 16 aprile 2013 n. 62.
Non finisce qui, stay tuned!
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