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Che vinca o perda la causa, l’infermiere ha diritto al risarcimento dal Ministero della Giustizia

  • Immagine del redattore: AADI
    AADI
  • 3 set
  • Tempo di lettura: 6 min

Un infermiere A.A.D.I. ottiene 26mila euro per due processi troppo lunghi


Spesso ci si lamenta che le cause durino troppo e che non conviene farle proprio perché il tempo di attesa stanca, ma come il paziente ha diritto di effettuare la prestazione sanitaria entro un determinato periodo, così il cittadino ha diritto di avere la sentenza in tempi brevi.


Il diritto è sancito nell’art. 6, par. 1 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata in Italia con Legge 4 agosto 1955 n. 848, ma solo dopo 46 anni, il Governo italiano l’ha disciplinata compiutamente nella Legge 24 marzo 2001 n. 89 (c.d. Legge Pinto, dal nome del suo relatore), fissando un termine per la durata di ogni tipo di processo ed anche l’equa riparazione (indennizzo) da corrispondere alla parte in causa che si è vista irragionevolmente durare troppo il suo processo (o i suoi gradi di processo).


Perché la violazione della durata del processo deve essere irragionevole per giustificare l’indennizzo?

Perché la durata del processo è ragionevole, anche se supera i termini fissati dalla legge, e quindi non indennizzabile, quando sono le parti a farlo durare troppo, per esempio in caso di condotte defatigatorie e dilatorie.

Cosa sono? Sono comportamenti finalizzati a perdere tempo per non accontentare la controparte oppure mancanze o carenze processuali. Esempio, se l’infermiere dimentica un documento che andava allegato al ricorso, il giudice, per disporre l’acquisizione di questo documento nel processo, perderà tempo. Alla fine dell’udienza dirà che ci deve pensare se acquisire o meno il documento e dopo del tempo emana un’ordinanza con la quale ammette il documento e dopo altro tempo, fissa l’udienza. Tutto questo tempo, scaturito dal comportamento dell’infermiere, non può essere calcolato nella durata ragionevole del processo perché è stata colpa della parte e non del giudice. La perdita di tempo deve essere imputata al giudice, ecco perché paga il Ministero della giustizia.


Prima di tutto va chiarito che questa legge è stata più volte modificata, anche recentemente, e che il valore dell’indennizzo è stato progressivamente ridotto nel tempo.


La legge prevede che chi non sollecita il giudice a sbrigarsi nel suo lavoro, ovviamente per iscritto (c.d. istanza di accelerazione), non può chiedere alcun indennizzo: la sua causa per chiedere l’indennizzo verrà cancellata se non dimostra di aver sollecitato il giudice per gli atti che doveva compiere celermente.


Uno dei tantissimi casi in cui la legge scrive una cosa, ma è vero l’opposto.

Per questo motivo si studia la giurisprudenza e non solo la legge e molti infermieri legali che si atteggiano a cultori del diritto prendono le cantonate e mettono in pericolo i propri colleghi perché non sanno studiare la legge: non sono stati preparati adeguatamente.

Infatti, si deve anche vedere cosa dice la Corte Costituzionale su questa legge e la Corte, con sentenza del 13 luglio 2023 n. 142 (in G.U. 1ª s.s. 19/07/2023 n. 29), ha dichiarato l’illegittimità di questo articolo e, quindi, si può chiedere l’indennizzo anche se non si è sollecitato il giudice.


Il ricorso per ottenere l’indennizzo da irragionevole durata del processo, si propone alla Corte di Appello civile del distretto ove è radicato il tribunale.

Nell’accertare la violazione del termine ragionevole del processo, il giudice valuta la complessità del caso, l’oggetto del procedimento, il comportamento delle parti e del giudice durante il procedimento, nonché quello di ogni altro soggetto chiamato a concorrervi o a contribuire alla sua definizione.


Si considera rispettato il termine ragionevole se:

  • in I grado se il processo non eccede la durata di tre anni;

  • in II grado se il processo non eccede la durata di due anni;

  • in cassazione, se il processo non eccede la durata di un anno.


Ai fini del computo della durata, il processo si considera iniziato con il deposito del ricorso introduttivo del giudizio ovvero con la notificazione dell’atto di citazione.

La legge fissa altri termini per altri tipi di processo (esecutivo, pignoratizio, penale, amministrativo, che qui non ci interessano).

Se si arriva fino in Cassazione, il giudizio deve concludersi entro sei anni e non valgono i vari gradi di giudizio precedenti.


La legge elenca alcune condotte dilatorie delle parti, ma è utile segnalare che non si procedere all’indennizzo se la parte ci ha guadagnato per l’irragionevole durata del processo, cioè, è stata risarcita dalla controparte grazie alla durata del processo.


La causa di riparazione da irragionevole durata del processo può essere proposta esclusivamente entro sei mesi dal momento in cui la decisione che conclude il processo troppo lungo è divenuta definitiva. Si può anche proporre durante il processo se questo ha già superato il termine proprio.


Il giudice liquida a titolo di equa riparazione una somma di denaro non inferiore a 400 euro e non superiore a 800 euro per ciascun anno o frazione di anno superiore a sei mesi, che eccede il termine ragionevole di durata del processo. La somma liquidata può essere incrementata fino al 20 per cento per gli anni successivi al terzo e fino al 40 per cento per gli anni successivi al settimo.

Prima di questa novella del 2021, la somma era di 1.500 euro all’anno.

Il giudice che indennizza deve valutare:

  • l’esito del processo nel quale si è verificata la violazione della durata del processo;

  • il comportamento del giudice che ha allungato i tempi e delle parti;

  • la natura degli interessi coinvolti;

  • il valore e della rilevanza della causa, valutati anche in relazione alle condizioni personali della parte.

Comunque, l’indennizzo non può essere superiore al valore della causa (es. mobilità, concorsi, ecc.) e se vi è sentenza di risarcimento (es. buoni pasto, demansionamento, ecc.) non può essere superiore al risarcimento stesso.


Se accoglie il ricorso, il giudice ingiunge al Ministero della Giustizia di pagare (attenzione, solo se il processo riguardava il lavoro degli infermieri, perché, altrimenti, va fatta contro altri Ministeri secondo la giurisdizione della causa).

Nel decreto il giudice liquida le spese del procedimento e ne ingiunge il pagamento anche per via esecutiva cioè subito.

Se il ricorso è in tutto o in parte respinto, la domanda non può essere riproposta, ma la parte può fare opposizione.

Gli indennizzi però, vanno pagati secondo la consistenza dei fondi; se il fondo, per esempio, del 2025 finisce, chi ha diritto all’indennizzo si mette in fila e deve attendere il fondo del 2026 e così via.

Per questo motivo si attende tanto per avere i soldi pur se si ha vinto l’indennizzo.


Non è facile farsi pagare

Il Ministro della giustizia Fassino mise tanti paletti nel tentativo di far sbagliare chi aveva vinto l’indennizzo, così da non doverlo pagare più ed ha pure vietato il pignoramento dell’indennizzo per cui non si può costringere il Ministero a pagare, bisogna avere pazienza, come l’infermiere che ha vinto: ha atteso 13 anni per ogni processo di I grado e poi 10 anni il pagamento dal Ministero.

Infatti, basta un piccolo errore per far decadere per sempre il diritto al pagamento.

Quindi, il ricorso, unitamente al decreto che accoglie la domanda di equa riparazione, è notificato per copia autentica al soggetto nei cui confronti la domanda è proposta. Il decreto diventa inefficace qualora la notificazione non sia eseguita nel termine di trenta giorni dal deposito in cancelleria del provvedimento e la domanda di equa riparazione non può essere più proposta. La notificazione rende improponibile l’opposizione e comporta acquiescenza, cioè, accettazione definitiva del decreto di pagamento. Il decreto che accoglie la domanda è altresì comunicato al procuratore generale della Corte dei conti, ai fini dell’eventuale avvio del procedimento di responsabilità, nonché ai titolari dell’azione disciplinare dei dipendenti pubblici comunque interessati dal procedimento.


Contro il decreto che ha deciso sulla domanda di equa riparazione può essere proposta opposizione nel termine perentorio di trenta giorni dalla comunicazione del provvedimento ovvero dalla sua notificazione. L’opposizione si propone con ricorso davanti all’ufficio giudiziario al quale appartiene il giudice che ha emesso il decreto e nella nuova Corte di appello che dovrà decidere non potrà farne parte il giudice che ha emanato il provvedimento impugnato. L’opposizione però non sospende l’esecuzione del provvedimento se non in caso di gravi motivi.

Se l’opposizione è inammissibile o manifestamente infondata, la Corte può condannare il ricorrente al pagamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma di denaro non inferiore a 1.000 euro e non superiore a 10.000 euro.


Per farsi pagare, chi ha vinto l’indennizzo, deve attestare, al Ministero della Giustizia, una autocertificazione/dichiarazione (ai sensi degli articoli 46 e 47 del D.P.R. 28 dicembre 2000 n. 445) che non ha mai percepito l’indennizzo! Deve anche specificare se è già stato pagato parzialmente e quanto ancora deve percepire. Poi deve dichiarare che si impegna a trasmettere la documentazione necessaria nel caso in cui mutasse la situazione che ha appena dichiarato. Dopodiché, il Ministero, entro un anno dalla pubblicazione del decreto del giudice che accoglie la domanda di equa riparazione, deve emanare un documento con il quale dichiara di accogliere la domanda di pagamento.

Ogni due anni, il Ministero, se non paga, può chiedere che chi ha vinto la causa rifaccia daccapo questa autodichiarazione.

Il modello di autodichiarazione è disponibile nel sito del Ministero; se scritto a forma libera side cade dal diritto di ricevere i soldi.

Se si sbaglia nel compilare la dichiarazione oppure è incompleta si decade dal diritto di avere i soldi, se invece è trasmessa via pec in maniera irregolare, si decade dal diritto degli interessi e la domanda di pagamento rimane congelata finché il Ministero non comunica come risolvere le irregolarità.

Solo dopo sei mesi dalla data in cui è trasmessa la dichiarazione corretta, il Ministero vi mette in lista per essere pagati.

Il pagamento avviene sull’IBAN riportato sul modulo del Ministero.


Munitevi di tanta pazienza e non ci pensate più: i soldi vi arriveranno quando meno ve lo aspetterete perché lo avrete dimenticato.

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