Commento a circolare Ispettorato del lavoro n. 5 del 2018
Con la circolare n. 5/2018, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro fornisce delucidazioni ed indicazioni operative su alcune problematiche relative all’installazione e all’utilizzazione degli impianti audiovisivi e degli altri strumenti di controllo sul luogo di lavoro.
A primo impatto sembrerebbe che l’ispettorato nazionale del lavoro abbia dato il via alla possibilità, da parte dei datori di lavoro, di poter videofilmare i dipendenti mentre lavorano, in barba a decine di sentenze di Cassazione che contraddicono tale ipotesi.
In realtà l’Ispettorato ha solo fornito indicazioni su alcuni punti attuali che necessitano di regolamentazione specifica e di maggior tutela, anche in ossequio della privacy dei lavoratori e degli utenti.
Trattasi quindi di alcuni aspetti oggi preponderanti nelle aziende che, da una parte tutelano il datore di lavoro, dall’altra cercano di contemperare anche quelle che sono le esigenze di tutela della privacy dei lavoratori.
– Videosorveglianza sul lavoro: istruttoria delle istanze.
Le modalità secondo le quali effettuare “l’istruttoria” per presentare le richieste per il rilascio del provvedimento e, in particolare, valutare i presupposti legittimanti il controllo a distanza dei lavoratori. L’Ispettorato precisa che tale attività non coinvolgendo aspetti tecnici particolari, può essere demandata anche “al personale ispettivo ordinario o amministrativo operante all’interno delle varie unità organizzative dell’Ufficio e, solo in casi assolutamente eccezionali comportanti valutazioni tecniche di particolare complessità, anche al personale ispettivo tecnico”. L’oggetto della valutazione infatti si fonda sull’effettiva “sussistenza delle ragioni legittimanti l’adozione del provvedimento, tenendo presente in particolare la specifica finalità per la quale viene richiesta la singola autorizzazione e cioè le ragioni organizzative e produttive, quelle di sicurezza sul lavoro e quelle di tutela del patrimonio aziendale”;
– Le telecamere possono inquadrare il dipendente.
L’Ispettorato, precisa che le eventuali condizioni poste all’utilizzo delle varie strumentazioni, devono essere necessariamente correlate alla specifica finalità individuata nell’istanza, senza “particolari ulteriori limitazioni di carattere tecnico che talvolta finiscono per vanificare l’efficacia dello stesso strumento di controllo”. Dice ancora la circolare che l’eventuale ripresa dei lavoratori, di norma, dovrebbe avvenire “in via incidentale e con carattere di occasionalità ma nulla impedisce, se sussistono le ragioni giustificatrici del controllo (ad esempio tutela della “sicurezza del lavoro” o del “patrimonio aziendale”), di inquadrare direttamente l’operatore, senza introdurre condizioni quali, per esempio, ‘l’angolo di ripresa’ della telecamera oppure ‘l’oscuramento del volto del lavoratore'”.
– Non occorre più specificare la posizione e il numero delle telecamere.
In tema di videosorveglianza, precisa la circolare, “non appare fondamentale specificare il posizionamento predeterminato e l’esatto numero delle telecamere da installare fermo restando, comunque, che le riprese effettuate devono necessariamente essere coerenti e strettamente connesse con le ragioni legittimanti il controllo e dichiarate nell’istanza, ragioni la cui effettiva sussistenza va sempre verificata in sede di eventuale accertamento ispettivo”. Qui si fa riferimento ad aziende che lavorano con merci e con prodotti merceologici, tale principio non è applicabile ovviamente alle aziende sanitarie; si spiega nel testo che, lo stato dei luoghi e il posizionamento delle merci o degli impianti, è spesso oggetto di continue modificazioni nel corso del tempo, pertanto, sarebbe scarsamente utile una istruttoria basata su planimetrie che possono variare nel breve periodo.
Attività di controllo del lavoratore.
– Va precisato che il provvedimento autorizzativo all’istallazione delle telecamere viene rilasciato sulla base di specifiche ragioni dichiarate dall’istante in sede di richiesta, pertanto l’attività di controllo è legittima “se strettamente funzionale alla tutela dell’interesse dichiarato”, interesse che non può essere modificato nel corso del tempo, nemmeno se vengano invocate le altre ragioni legittimanti il controllo stesso, non dichiarate nell’istanza di autorizzazione. Come a dire visto che avete fatto voi esplicita richiesta dell’istallazione delle telecamere, non potete ora tirarvi indietro invocando ulteriori problematiche non precedentemente invocate nell’istanza.
– Tutela del patrimonio aziendale.
Fra le ragioni che giustificherebbero, a detta dell’ispettorato, il controllo a distanza dei lavoratori, rientra l’elemento di novità introdotto dalla recente normativa, caratterizzato dalla tutela del patrimonio aziendale che in precedenza veniva considerato come unico criterio legittimante delle visite personali di controllo, di cui all’art. 6 della stessa legge. Tale presupposto necessita però, a detta sempre dell’ispettorato, “di una attenta valutazione in quanto l’ampiezza della nozione di “patrimonio aziendale”,
espone facilmente al rischio di travalicarne il significato includendo cose che nulla hanno a che fare con esso e, conseguentemente, non fungere da “idoneo filtro” alla ammissibilità delle richieste di autorizzazione. Tale problematica ovviamente non si pone per le richieste che riguardano dispositivi collegati ad impianti di antifurto che tutelano il patrimonio aziendale, in quanto tali dispositivi, entrando in funzione soltanto quando in azienda non sono presenti lavoratori, non consentono alcuna forma di controllo incidentale degli stessi e pertanto possono essere autorizzati secondo le modalità di cui alla nota n. 299 del 28 novembre 2017. Diversamente l’ispettorato limita tale ipotesi nei casi in cui la richiesta di installazione riguardi dispositivi operanti in presenza del personale aziendale; in tal caso la generica motivazione di “tutela del patrimonio” va necessariamente declinata per non vanificare le finalità poste alla base della disciplina normativa.
Come ricorda infatti il garante della privacy, “i principi di legittimità e determinatezza del fine perseguito, nonché della sua proporzionalità, correttezza e non eccedenza, impongono una gradualità nell’ampiezza e tipologia del monitoraggio, che rende assolutamente residuali i controlli più invasivi, legittimandoli solo a fronte della rilevazione di specifiche anomalie e comunque all’esito dell’esperimento di misure preventive meno limitative dei diritti dei lavoratori”.
Anche la Corte di Cassazione ha più volte ribadito che “la sussistenza dei presupposti legittimanti la tutela del patrimonio aziendale mediante le visite personali di controllo, va valutata in relazione ai mezzi tecnici e legali alternativi attuabili, all’intrinseca qualità delle cose da tutelare, alla possibilità per il datore di lavoro di prevenire ammanchi attraverso l’adozione di misure alternative” (Cass. sent. n. 84/5902).
– Telecamere.
L’ispettorato fa una sorta di classificazione dei sistemi di videosorveglianza, soffermandosi in particolare sui nuovi modelli di recente introduzione che si basano su tecnologie digitali adatte all’elaborazione su PC e trasmissione su rete dati (tipo internet), precisando che, ove sussistano le ragioni giustificatrici del provvedimento, è autorizzabile da postazione remota sia la visione delle immagini “in tempo reale” che registrate. Tuttavia l’accesso da postazione remota alle immagini “in tempo reale”, deve essere autorizzato solo in casi eccezionali debitamente motivati. L’accesso alle immagini registrate, sia da remoto che “in loco”, deve essere necessariamente tracciato anche tramite apposite funzionalità che consentano la conservazione dei “log di accesso” per un congruo periodo, non inferiore a sei mesi; pertanto non va più posto come condizione, nell’ambito del provvedimento autorizzativo, l’utilizzo del sistema della “doppia chiave fisica o logica”. Giustamente si precisa che nel caso in cui sia necessario visionare da remoto le immagini delle telecamere, questo possa essere autorizzato solo da chi ha le credenziali di accesso, loggandosi e lasciando quindi traccia dell’attività, al fine di prevenire e monitorare, la violazione della privacy.
– Dati Biometrici.
Un ultimo aspetto riguarda l’utilizzo di dispositivi e tecnologie per la raccolta e il trattamento di dati biometrici, ossia quei dispositivi che rilevano i volti e l’impronta, sia essa del pollice o dell’intera mano. L’ispettorato ricorda che il Garante per la protezione dei dati personali ha emanato un Provvedimento generale prescrittivo in tema di biometria, evidenziando come “l’adozione di sistemi biometrici basati sull’elaborazione dell’impronta digitale o della topografia della mano può essere consentita per limitare l’accesso ad aree e locali ritenuti ‘sensibili’ in cui è necessario assicurare elevati e specifici livelli di sicurezza oppure per consentire l’utilizzo di apparati e macchinari pericolosi ai soli soggetti qualificati e specificamente addetti alle attività”. Conseguentemente l’Ispettorato conclude che, il riconoscimento biometrico installato sulle macchine, necessario per avviare il funzionamento della stesse e con lo scopo di impedirne l’utilizzo a soggetti non autorizzati, “può essere considerato uno strumento indispensabile a ‘…rendere la prestazione lavorativa…’ e pertanto si possa prescindere, ai sensi del comma 2 dell’art. 4 della L. n. 300/1970, sia dall’accordo con le rappresentanze sindacali sia dal procedimento amministrativo di carattere autorizzativo previsto dalla legge”.
Concludendo si può affermare che la circolare emanata non è così allarmante e/o illegittima come poteva apparire di primo acchito; sicuramente ha dilatato un po’ limiti precedentemente individuati dalla legislazione in fatto di tutela del lavoratore, limiti previsti dalla legge 300/70, che più volte in questi anni è stata demolita perdendo la sua integralità (vedi art. 18), in linea con i continui attacchi diretti a scardinare gli ultimi baluardi dei lavoratori.
Sarà come al solito la giurisprudenza a risolvere determinati aspetti dell’interpretazione della circolare stessa, che ricordiamo è un atto amministrativo interno e come tale non può essere in contrasto con una norma di rango superiore come la legge, tantomeno con quei principi generali più volte richiamati dal dettato Costituzionale e Comunitario.
Dott. Carlo Pisaniello
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