La Corte d’Appello di Torino, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Vercelli, ha rigettato le opposizioni proposte dall’ASL di Vercelli e del Direttore Generale della stessa, avverso l’ordinanza-ingiunzione emessa dalla Direzione Provinciale del Lavoro, con la quale gli stessi erano stati condannati al pagamento in solido di una sanzione amministrativa irrogata per la mancata concessione di riposi settimanali ad alcuni lavoratori, per l’ammontare di Euro 21.445.
In particolare, la sanzione amministrativa irrogata riguardava la violazione da parte dell’Asl dell’art. 9, co.1 del D.lgs. n.66 del 2003 per non aver concesso ai ricorrenti, ventisette fra infermieri professionali e tecnici di radiologia i riposi dialmeno ventiquattro ore consecutive per un totale di centodue giornate di lavoro, nel periodo 1 gennaio 2005 – 30 giugno 2007.
La Corte territoriale aveva infatti stabilito che la Direzione provinciale del lavoro:
a) nel notificare l’ordinanza – ingiunzione aveva rispettato il diritto di difesa dei destinatari del provvedimento sanzionatorio;
b) aveva correttamente individuato l’autore dell’illecito nel D.G., rappresentante legale dell’ente, non essendosi raggiunta in giudizio la prova che le funzioni di datore di lavoro fossero state delegate a dirigenti dei singoli Dipartimenti in ragione della natura articolata e complessa della struttura sanitaria;
c) aveva poi correttamente ritenuto ratione temporis applicabile alla fattispecie l’art. 9 dei d.lgs. n.66 del 2003, di cui risultava pacifica la violazione;
d) aveva considerato fondata la censura del Ministero rivolta alla sentenza di primo grado che aveva accolto le eccezioni degli opponenti tese a escludere dal computo le giornate rese in regime di pronta reperibilità, avendo accertato che nelcalcolo della sanzione amministrativa erano state ricomprese unicamente le giornate di mancato godimento del riposo settimanale in cui la disponibilità si era convertita in una chiamata al lavoro, rilevando che la predetta ipotesi in nulla si differenzia dall’altra in cui il mancato riposo deriva dallo svolgimento di un’ordinaria prestazione lavorativa;
e) aveva poi affermato che il Giudice di prime cure, nel quantificare la sanzione amministrativa comminata ai sensi dell’art. 18 bis del d.lgs. n.66 del 2003, avesse fatto corretta applicazione dell’art. 8 della legge n. 689 del 1981, escludendo dal computo, il criterio del cumulo giuridico in favore di quello del cumulo materiale, pur meno favorevole all’azienda sanitaria.
Il ricorso in Cassazione è chiesto dall’Asl n. 11 di Vercelli e dallo stesso D.G., con due distinti ricorsi.
Nel ricorso presentato dal D.G. il Ministero delle Politiche Sociali e la Direzione Provinciale del lavoro di Vercelli, nonché l’Asl n. 11 di Vercelli, rimangono intimati.
Con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.1, n.3 e n. 5 cod. proc. civ., la ricorrente ASL deduce che la sentenza gravata avrebbe errato nel ritenere responsabile dell’illecito contestato il solo Direttore Generale e non anche il dirigente preposto al settore, al quale facevano riferimento i dipendenti, in quanto al primo competerebbe unicamente la gestione complessiva dell’azienda.
La ricorrente ALS infatti deduce che fin dalle cd. leggi Bassanini n. 59 e n. 127 del 1997, e, specificamente per il settore della sanità, dal d.lgs. n .502 del 1992 (artt. 3, 15 e 15 bis) successivamente modificato dal D.lgs. n. 299 del 1999, le responsabilità connesse alla gestione sono divenute appannaggio dei singoli dirigenti, mentre in capo al Direttore Generale è rimasta la responsabilità della gestione complessiva dell’azienda e della nomina dei responsabili delle struttureoperative, di talchè, il riferimento alla “delega delle responsabilità” da parte della Corte d’Appello torinese sarebbe del tutto inconferente, atteso che è la legge che affida direttamente le responsabilità di gestione ai dirigenti delle singole strutture operative.
Anche la successiva statuizione della Corte territoriale circa l’organizzazione dell’Asl di Vercelli in struttura semplice, tale da non giustificare l’affidamento mediante espressa delega della gestione del personale a un’unità separata, secondo laASL ricorrente la sentenza sarebbe frutto di un’errata interpretazione delle norme di legge nonché viziata da un evidente difetto di motivazione.
Sotto tale profilo, infatti, il Giudice dell’Appello nulla avrebbe detto circa il contenuto dell’atto aziendale prodotto in giudizio dall’Azienda sanitaria, da cui si trarrebbe una precisa conclusione in merito alla specificità organizzativa dell’Asl.
In merito poi all’asserita sussistenza di un generale obbligo di vigilanza in capo al Direttore Generale di osservanza delle norme in tema di adempimenti correlati con i rapporti di lavoro dei dipendenti dell’Azienda, l’argomento sarebbe stato introdotto per la prima volta nella sentenza d’Appello, e risulterebbe fuorviante rispetto al contenuto dell’ordinanza – ingiunzione, nella quale una responsabilità per culpa in vigilando non era stata affatto ipotizzata.
Essa contrasterebbe infatti con il quadro normativo vigente, in base al quale, in capo al Direttore Generale la legge non porrebbe alcun obbligo di vigilanza sull’operato dei dirigenti, bensì unicamente una responsabilità della gestione complessiva dell’azienda.
La contestazione poi da parte del Ministero non sarebbe stata sollecitata dal personale infermieristico, bensì in seguito a una visita ispettiva e quindi l‘intervento ispettivo, secondo la ASL si porrebbe in aperto contrasto con l’esigenza della struttura ospedaliera di soddisfare il fondamentale diritto alla salute, esigenza di cui sarebbero ben consapevoli i dipendenti i quali, pur di non interrompere il rapporto assistenziale ponendo a rischio la salute dei ricoverati,sarebbero soliti aderire alla prassi di concludere accordi con i responsabili delle strutture, che contemplano turni più gravosi.
Sempre secondo la ASL, di tale disponibilità, si era fatto carico anche il legislatore, che col D.l. n. 112 del 2008, convertito in I. n. 133 del 2008, aveva derogato all’articolazione dei turni di lavoro e dei riposi, proprio al fine di venire incontro alle esigenze primarie del comparto della sanità.
La sentenza di appello avrebbe quindi ignorato tale normativa, tesa ad alleggerire le rigide regole in materia di riposi nel settore della sanità, la quale costituisce una linea di tendenza confermata con la I. n. 183 del 2010 (art. 7), ritenendola inapplicabile al caso di specie solo perché successiva alle violazioni contestate.
Con il terzo motivo, l’As1 contestava poi che, la sentenza impugnata avrebbe erroneamente escluso il criterio del cumulogiuridico dal computo della sanzione complessiva, applicando la somma aritmetica delie violazioni secondo il criterio del cumulo materiale, ma tale scelta si porrebbe in contrasto con la realtà di fatto, poiché nel caso di specie, il criterio di computo avrebbe dovuto ispirarsi al principio della continuazione, atteso che le violazioni contestate sono della stessa specie e sono state commesse nell’ambito di un unico disegno.
I punti contestati invece dal D.G. nel suo ricorso sono:
Violazione del suo diritto di difesa per non essere stato reso destinatario di notifica della prima ordinanza-ingiunzione,così da escluderlo dalla possibilità di proporre ricorso gerarchico ex art. 16 D.Igs. 23.4.2004 n. 124 norma di cui,congiuntamente qui si denuncia la violazione e/o erronea applicazione.
Il D.G. infatti, cessato dal servizio nel 2009, denuncia di non aver ricevuto notifica della prima ordinanza-ingiunzione emessa dalla Direzione Provinciale del lavoro presso la sua residenza di Chiavari, bensì presso l’Asl, all’epoca legalmente rappresentata da un altro soggetto.
Detta notificazione non avrebbe perciò dispiegato effetti nei suoi confronti, mentre al contrario, la seconda ordinanza-ingiunzione gli sarebbe stata correttamente notificata.
A causa quindi dell’omessa notificazione nella prima fase amministrativa egli deduce di essere stato privato della possibilità di adire la via gerarchica, secondo quanto stabilito dall’art. 16 del d.lgs. n.124 del 2004.
La sentenza d’appello poi, avrebbe errato nell’identificare in modo aprioristico il datore di lavoro col legale rappresentante dell’Ente, prescindendo dalla normativa specifica in materia sanitaria e dalla giurisprudenza di legittimità consolidata in tema di delega di responsabilità per settori in ambito di organizzazioni aziendali complesse e articolate.
La Suprema Corte decide quindi di analizzare i ricorsi congiuntamente, iniziando di motivi dedotti dalla ASL di Vercelli:
La Corte territoriale ha accertato che non è stata raggiunta la prova che le prerogative datoriali fossero state delegate ai dirigenti dei vari Settori dell’Asl, non evidenziandosi nell’atto aziendale del 17.6.2004 che si limitava ad individuare le competenze dei vari servizi né nelle successive delibere del 31.5.2006 e 6.6.2008 in base alle quali veniva conferita alla dott.ssa Romano l’incarico di dirigente del servizio infermieristico, tecnico sanitario e della riabilitazione, senza, tuttavia,aggiungere niente in ordine ad eventuali deleghe e alle connesse responsabilità.
La Corte territoriale ha inoltre accertato che non era stato offerto alcun elemento dal quale potesse evincersi che all’Azienda sanitaria, in virtù della complessità della sua organizzazione, necessitasse di affidare la gestione del personale a una struttura separata il cui dirigente avrebbe quindi assunto ogni responsabilità in materia di gestione del personale, tale da escludere quella del legale rappresentante.
La Corte d’appello richiamandosi al generale obbligo di vigilanza del Direttore Generale sull’osservanza, da parte degli organi di gestione, delle norme imperative che disciplinano i rapporti di lavoro, identifica, anche sotto il profilo della culpa in vigilando una responsabilità dello stesso D.G. nella causazione dell’illecito oggetto della sanzione amministrativa.
L’iter logico argomentativo seguito dalla Corte territoriale è infatti puntuale e si pone in conformità ai principi ordinamentali in tema di responsabilità datoriale nelle pubbliche amministrazioni.
L’identificazione del garante dell’osservanza delle norme sui rapporti d’impiego è proprio nel Direttore Generale in quantoorgano apicale dell’ente, scaturito proprio dall’accertamento circa l’assenza, nell’atto aziendale, di qual si voglia delega di responsabilità datoriali date al dirigente del Settore infermieristico e tecnico da cui dipendevano i lavoratori o, comunque, ad altro ufficio separato.
La ASL sostiene poi che la prassi di impedire il godimento delle giornate di riposo non avrebbe mai scontentato né i dipendenti né gli assistiti e che l’art. 20 del C.C.N.L. dell’1.9.1995 del Comparto sanità avrebbe previsto espressamente che “il riposo settimanale coincide di norma con la giornata domenicale“, introducendo la possibilità di un’articolazione dei riposi non così burocratica e puntuale come quella proposta dall’Ispettorato del lavoro, sulla falsa sussistenza di accordi intercorsi con l’Azienda, che tuttavia parte ricorrente ha omesso di trascrivere e di produrre non consentendo quindi alla Corte di avere l’esatta conoscenza della domanda, in difetto del requisito della specificità del motivo di ricorso di cui all’art. 366, n.4 cod. proc. civ., non solo, la censura è altresì infondata, laddove vorrebbe giustificare la violazione dell’art. 9 del D.lgs. n. 66 del 2008 (pacificamente accertata), sulla base di deroghe al sistema delie turnazioni e dei riposi settimanali introdotte da una legislazione successiva al verificarsi dei fatti oggetto del giudizio (occorsi tra I’l gennaio 2005 e il 30 giugno 2007).
La Corte d’appello in proposito ha stabilito che la norma applicabile all’illecito contestato non contiene alcuna deroga al diritto al riposo settimanale, così come nessuna deroga prevede il contratto collettivo per il comparto sanità dell’1.9.1995(art. 20) richiamato dagli appellanti incidentali (ma prodotto solo dal Ministero del Lavoro) il quale si è limitato a regolare il caso in cui sussiste coincidenza tra la fruizione del riposo e la domenica.
Vero è, come sostiene la ASL ricorrente, che lo stesso contratto collettivo, all’art. 20, di co.2, stabilisce che “Ove non possa essere fruito nella giornata domenicale, il riposo settimanale deve essere fruito di norma entro la settimana successiva, in giorno va concordato fra il dipendente ed il dirigente responsabile della struttura, avuto riguardo alle esigenze di servizio“, ma eventualità è stata esclusa dalla Corte territoriale. Essa ha, infatti, accertato che, anche volendo attribuire valore derogatorio in riferimento alla fruizione del riposo nella settimana successiva, l’ordinanza ingiunzione degli ispettori del lavoro è riferita “secondo un dato non contestato” ai soli casi in cui la prestazione lavorativa si era protratta dai 13 ai 27 giorni consecutivi senza fruizione di riposi, e, dunque, la doglianza esula comunque dall’ipotesicontemplata nella fonte negoziale.
La pretesa di estendere al sistema sanzionatorio di cui alla legge n. 689 del 1981 discipline introdotte da disposizioni successive al verificarsi dell’illecito, sebbene contenenti previsioni più favorevoli al destinatario dell’obbligo violato è da considerarsi priva di fondamento. In base all’orientamento della giurisprudenza di legittimità al quale in questa sede s’intende dare continuità, “…i principi di legalità e irretroattività di cui all’art. 1 della I. n.689 del 1981, comportano l‘assoggettamento del fatto alla legge del tempo del suo verificarsi e rendono inapplicabile la disciplina posterioreeventualmente più favorevole” (Cass. n.7485 del :2018).
Anche la terza censura prospettata dall’Asl, che si duole della mancata applicazione alla fattispecie del regime del cumulo giuridico, che avrebbe portato a una quantificazione dell’indennità meno sfavorevole alla ricorrente, è infondata.
La Corte d’Appello, dopo aver premesso che„ per quanto attiene alle modalità di applicazione della sanzione amministrativa, il Giudice di primo grado aveva fatto corretta attuazione dell’art. 18 bis del d.lgs. n. 66 del 2003, introdotto dalla I. n.9 del 2014„ contenente la disciplina delle sanzioni in caso di violazione delle disposizioni in materia di riposi settimanali (p.18 sent.), ha accertato altresì la conformità della seeta di applicare il criterio del cumulo materiale in luogo del più favorevole cumulo giuridico, per le plurime violazioni perpetrate ai danni di ventisette dipendenti.
Nel disciplinare il criterio del cumulo giuridico, l’art. 8 della I. n. 689 del 1981, rubricato: “Più violazioni di disposizioni che prevedono sanzioni amministrative“, al comma 1 dispone che: “Salvo che sia diversamente stabilito dalla legge, chi con un’azione od omissione viola diverse disposizioni che prevedono sanzioni amministrative o commette più violazioni della stessa disposizione, soggiace ala sanzione prevista per la violazione più grave, aumentata sino al triplo.“
La stessa norma, al comma 2, prevede che “Alla stessa sanzione prevista dal precedente comma soggiace anche chi con più azioni od omissioni, esecutive di un medesimo disegno posto in essere in violazione di norme che stabiliscono sanzioni amministrative, commette, anche in tempi diversi, più violazioni della stessa o di diverse norme di legge in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie.“
Nel caso di specie, pertanto, le reiterate violazioni sono state attuate “con più azioni od omissioni“, perché perpetrate, anche in tempi diversi, nei confronti di ventisette tra infermieri professionali e tecnici di radiologia. La scelta operata dalGiudice del merito di applicare al calcolo della sanzione amministrativa il criterio del cumulo materiale si rivela, pertanto, pienamente conforme alla norma dispositiva, posto che nel verificarsi di una pluralità di azioni od omissioni, il legislatore ha escluso il computo secondo il criterio del cumulo materiale (tot crimina, tot poenae) alla sola ipotesi in cui vengano violate le norme in materia di previdenza e assistenza obbligatorie, delle quali non fanno, ovviamente, parte quelle in tema di riposi settimanali.
Riguardo al ricorso presentato dal D.G. il quale asserisce violazione del diritto di difesa per non essere stata notificata, presso la sua residenza la prima ordinanza – ingiunzione, trovandosi egli già in pensione, e quindi per essergli stata preclusa la proposizione del ricorso gerarchico ai sensi dell’art. 16 del d.lgs. n.124 del 2004, il motivo non merita accoglimento, poiché la prima ordinanza ingiunzione era stata regolarmente notificata all’Asl, responsabile in solido con il D.G. del pagamento della sanzione amministrativa.
La seconda ordinanza – ingiunzione, costituente esatta duplicazione della prima, conteneva una sanzione di ammontare ridotto a carico del ricorrente D.G., avendo il Ministero riconosciuto che nel primo provvedimento era stata inserita erroneamente una somma non dovuta, in quanto riferita a un periodo in cui il Direttore si trovava già in quiescenza. Tale secondo provvedimento, era stato regolarmente notificato al D.G. presso la sua residenza di Chiavari, tant’è che sia l’Asl sia il Direttore Generale, si erano ritualmente opposti, prospettando le varie questioni preliminari e di merito esaminate nel giudizio.
Di qui la statuizione coerente ed esente da vizi logico – argomentativi del Giudice dell’appello, secondo cui il diritto di difesa del Direttore Generale era stato pienamente rispettato dal Ministero odierno intimato.
Anche il secondo motivo di ricorso non merita accoglimento va rigettato.
La Corte quindi rigetta entrambe i ricorsi non disponendo ulteriori spese a carico delle parti.
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