Commento a Cass. III sez. civile n. 15745 del 15 giugno 2018
La sentenza qui riportata sancisce che, in caso di accertamento della responsabilità medico-chirurgica, la consulenza tecnica di ufficio presenta carattere “percipiente”, di conseguenza il giudice può affidare al consulente non solo l’incarico di valutare i fatti accertati, ma anche quello di accertare i fatti medesimi, ponendosi pertanto la consulenza, in relazione a tale aspetto, come fonte oggettiva di prova.
La Corte di Appello di Trento con la sentenza n. 1/2016, in riforma della sentenza di prime cure n. 716 del 2011 del tribunale di Bolzano, ha accertato l’inadempimento delle obbligazioni assunte dai sanitari dell’ospedale di Bolzano per l’intervento chirurgico praticato al Sig. G., il quale, affetto da morbo di Crohn veniva operato subendo complicanze tali che hanno portato ad una setticemia fino al trapianto di un rene.
A tale conclusione la Corte Territoriale era giunta dopo aver rinnovato la consulenza tecnica di ufficio del primo grado che aveva ricondotto le cause della complicanza a patologie preesistenti.
La nuova CTU aveva invece accertato che l’intervento di anastomosi praticato non era stato eseguito nel modo corretto riguardo ai punti di sutura, la cui errata applicazione aveva causato l’infiammazione del tratto dell’intestino interessato con conseguente sepsi.
Ricorre per Cassazione l’Azienda Sanitaria interessata deducendo tre motivi di ricorso:
con il primo motivo il ricorrente lamenta il fatto che il giudice di Appello non abbia giudicato in base a nozioni di comune conoscenza ed esperienza, ma ad una fonte di notizia reperibile su internet e denominata Wikipedia, al difuori del contraddittorio tra le parti, contravvenendo così al divieto di ricorrere alla scienza privata;
si critica inoltre la statuizione, ripresa sempre da Wikipedia, nella quale si asserisce che l’anastomosi chirurgica corrisponda a una sutura che unisce i due capi dei visceri cavi, ritenendo così che i due termini, anastomosi e sutura, siano tra loro sinonimi, mentre l’attore sin dall’atto introduttivo, avrebbe solo allegato una scorretta esecuzione dell’anastomosi senza riferirsi ad una imperfetta sutura dell’intestino, avendo in primo grado evidenziato solo una generica imprudenza e negligenza nell’esecuzione dell’intervento di anastomosi, senza specificare se la corretta esecuzione della sutura, secondo i criteri dell’ars medica, imponesse particolari procedimenti di controllo.
Solo in sede di Appello l’attore deduceva che la deiscenza dell’anastomosi fosse imputabile al cedimento della sutura mal confezionata.
Inoltre né in primo grado né in Appello, l’attore aveva allegato un inadempimento rispetto all’assistenza post chirurgica, rilevata invece in via autonoma dalla consulenza tecnica (CTU) nominata dalla Corte di Appello.
Pertanto le inesattezze espresse dal giudice lo avrebbero condotto a indagare su fatti e circostanze non dedotti dalla parte attrice.
Inoltre le CTU acquisite sia in primo grado che in secondo, erano del tutto esplorative e quindi inammissibili, contribuendo così ad introdurre in favore del danneggiato una vera e propria mutatio libelli nei confronti della quale l’Azienda Sanitaria non è stata in grado di potersi difendere.
La Corte di Cassazione, analizzato il ricorso, rileva che, secondo giurisprudenza precedente (Ord. n. 13269 del 26/07/2012) “nel giudizio di risarcimento del danno derivato da colpa medica non costituisce inammissibile mutamento della domanda la circostanza che l’attore dopo aver allegato nell’atto introduttivo che l’errore del sanitario sia consistito nell’imperita esecuzione di un intervento chirurgico, nel concludere alleghi, invece, che l’errore sia consistito nell’inadeguata assistenza postoperatoria; dovendosi considerare il fatto costitutivo, idoneo a delimitare l’ambito dell’indagine, nella sua essenzialità materiale, senza che le specificazioni della condotta, inizialmente allegate dall’attore, possano avere portata preclusiva, attesa la normale mancanza di conoscenze scientifiche da parte del danneggiato”.
Pronuncia confermata anche da Cass. n. 18275/2014 sez. 2; Cass. n. 18275 del 26/08/2014.
Inoltre per quanto il giudice sia spinto a considerare le conclusioni della CTU, corrispondenti alle nozioni reperite su internet, non si ritiene che solo questo giudice abbia infranto la regola di ricorrere alla scienza privata. Il ricorso a nozioni di comune esperienza, comportando una deroga al principio dispositivo e del contraddittorio, hanno rilievo solo quando introducono nel giudizio civile prove non fornite dalle parti e relative a fatti dalle stesse parti non vagliate né controllate (Sez. I, Cass. n. 6299 del 19/03/2014).
In tale ipotesi l’ambito di indagine ha riguardato l’intervento chirurgico di anastomosi, in cui la sutura evidentemente ha fatto parte dell’atto chirurgico conseguente alla resezione di due parti dell’intestino.
Il fatto che il giudice di merito abbia erroneamente indicato (attraverso una ricerca su internet) che l’anastomosi chirurgica è una sutura che unisce due visceri cavi, ritenendo che i due termini siano sinonimi, non rileva ai fini della valutazione degli esiti della terapia praticata e della sua conformità alle legis artis, essendo stato dedotto che l’intervento di cui trattasi, facente parte della prestazione medica che la struttura si era obbligata ad eseguire, non ha avuto esiti favorevoli per il paziente.
La prestazione medica non deve rimanere circoscritta all’intervento in sé praticato come terapia, ma deve ricomprendere l’insieme delle prestazioni richieste dall’ars medica nel caso concreto, ivi comprese le attività complementari di sutura dei tessuti con manovre corrette, oltre all’assistenza post chirurgica da considerarsi come parti altrettanto essenziali e complementari alla terapia praticata.
Riguardo poi al punto che contesta la CTU si rileva che “in caso di accertamento della responsabilità medico-chirurgica, attesa l’innegabilità delle conoscenze tecniche specialistiche necessarie non solo alla comprensione dei fatti, ma alla loro stessa rilevabilità, la consulenza tecnica presenta carattere “percipiente”, sicchè il giudice può affidare al consulente non solo l’incarico di valutare i fatti accertati, ma anche quello di accertare i fatti medesimi, ponendosi pertanto la consulenza, in relazione a tale aspetto, come fonte oggettiva di prova”.
La CTU pertanto non ha accertato fatti o condotte ulteriori alle allegazioni attoree di malpractice medica circoscritte alla terapia praticata, difatti per quanto la CTU e le correlate indagini peritali abbiano generato una opinione percipiente, si è limitata ai fatti allegati dalla parte che solo un tecnico era in grado di accertare per mezzo della conoscenza degli strumenti di cui dispone (Cass. civile n. 1190 del 2015).
Con il secondo motivo il ricorrente deduce nullità della sentenza o del procedimento per nullità della consulenza tecnica esperita nel secondo grado, in particolare si deduce che al consulente siano stati dati compiti estranei a un giudizio tecnico, ovvero valutazioni e definizioni di situazioni di questioni giuridiche che sono riservati al giudice, circa l’esistenza di obbligazioni a carico di una delle parti in causa.
Tale conclusione manca di specificità in quanto non si rinviene in quale punto del quesito posto al CTU il giudice abbia sconfinato da iuxta probata et alligata.
I motivi di nullità della CTU debbono essere rilevati tempestivamente e non sono deducibili in Cassazione per la prima volta.
L’eventuale nullità della consulenza tecnica di ufficio deve essere proposta dalla difesa avversaria ai sensi dell’art. 157 c.p.c. ossia delle nullità relative, a pena di decadenza nella prima udienza successiva utile (Cass. sez. III n. 2251 del 31/01/2013); ne consegue che, ove non sia configurabile alcuna violazione del principio del contraddittorio, per avere le parti attivamente partecipato alle operazioni peritali o all’accertamento tecnico, anche in quei punti esorbitanti l’incarico, ovvero nei casi in cui la consulenza tecnica sia stata ritualmente acquisita agli atti senza opposizione delle parti stesse, si realizza la sanatoria del vizio, con conseguente utilizzabilità dell’accertamento che può essere liberamente apprezzato dal giudice di merito in ogni sua parte e quindi anche in relazione alla causa del danno.
Anche il terzo motivo che deduce la nullità della sentenza, per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e rileva che le condotte mediche indicate dalla CTU come obbligazioni dovute, non risultano esigibili dalla stessa letteratura indicata dal perito, essendo le operazioni di verifica di una idonea vascolarizzazione dei margini intestinali da suturare, delle suture eseguite con sistema meccanico e dell’assenza di tensioni o trazioni a livello di anastomosi, tutte pratiche correlate al caso della chirurgia del cancro del retto o sotto peritoneale e non per la cura del morbo di Crohn.
Tale motivo è inammissibile per il presente giudizio, ed occorre rammentare che in base alla giurisprudenza di questa Corte, quando le risultanze probatorie consentono di ritenere dimostrate l’insorgenza o l’aggravamento della patologia a seguito di una prestazione medica, è onere del convenuto dimostrare che nessun rimprovero di scarsa diligenza di imperizia può essere mosso o che, pur essendovi stato un suo inesatto adempimento questo non ha avuto alcuna eziologia nella produzione del danno ( Cass. III civ. n. 27855 del 12/12/2013).
Per tali ragioni il ricorso viene rigettato integralmente, con la condanna dell’Azienda Sanitaria ricorrente alle spese di euro 10.000 più oneri di legge.
La consulenza tecnica di ufficio quindi viene assunta, non solo come valutazione tecnica del fatto in sé, ma anche per accertare come sono realmente avvenuti i fatti, come si sono realizzati, e le modalità con le quali quel fatto si è verificato assurgendo come prova all’interno del processo.
Dott. Carlo Pisaniello
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