top of page

L’ASSOCIAZIONE A.A.D.I. NON SI FA INTIMIDIRE E RISPONDE PER LE RIME

L’articolo apparso il 22 maggio 2017 su compartosanita.it è intitolato: demansionamento/dequalificazione se foste avvocati … studio legale Doglio smonta le tesine AADI.

Ed allora facciamogli rispondere da un Avvocato tra i più illustri nel panorama del diritto sanitario italiano, e non per niente abbiamo invitato l’Avv. Gianluca Mari, docente del Master di II livello in Processo documentale sanitario-parte generale tenutosi presso la Corte Suprema.

Ma prima di sentire il Suo illustre parere, dobbiamo rispondere all’articolo.

L’INCIPIT

Nel nostro articolo non si faceva riferimento all’Avv. Doglio, quindi potrà prendere tutte le iniziative che vorrà contro di noi.

Nell’articolo non si faceva riferimento alle sue cause, quindi potrà prendere tutte le iniziative che vorrà contro di noi.

E’ inutile scrivere demansionamento/dequalificazione perché anche se Lebiu riporta le tesine della Federazione che sostiene la differenza tra i due termini, in realtà sono sinonimi.

E’ quindi un falso che circoscrivano due diverse situazioni giuridiche.

Se anche per questo si vorranno prendere tutte le iniziative contro di noi, iniziate a prenderle contro la Corte Suprema (fra tutte sez. Lav., 23 febbraio 2016 n. 3485) che utilizza scambievolmente i due termini senza precisarne un diverso significato.

L’articolo AADI partiva da una serie di lamentele, attuali peraltro, provenienti anche da Cagliari, da parte di infermieri gravemente demansionati e dal fatto che, per logica, le cause vinte con risarcimenti irrisori (da 4 soldi) rispetto a quelle casisticamente più corpose cioè da 50mila-80mila euro, non valessero a deprimere lo sfruttamento infermieristico.

Il danno professionale (del quale se ne parlerà estesamente appresso perché anche su questo compartosanita.it prende lucciole per lanterne), è valutato secondo tre requisiti: il temporale, che è oggettivo; il sociale e l’incidenza, che sono soggettivi (Cass. Lav., 25 agosto 2015 n. 17123).

Non si spiega perché, nel valutare i requisiti soggettivi, il sociale cioè l’importanza che la professione demansionata ha nel sentire sociale tra la collettività, ovvero, il valore della professione infermiere, e l’incidenza cioè la frequenza e l’intensità delle attività demansionanti sul complesso esercizio della professione, i giudicanti liquidino cifre ridicole, soprattutto se paragonate al diritto bancario dove, ad esempio un impiegato non laureato o specializzato (seppure naturalmente dotato di bastevole professionalità), viene valorizzato più di un infermiere laureato.

Il problema, sta nella considerazione sociale dell’infermiere, nell’eterostima che dovrebbe crescere ma che alcuni collegi IPASVI deprimono assegnando all’infermiere compiti di natura alberghiera.

Senza entrare nella questione, rimandandovi ai numerosi libri scritti dall’A.A.D.I., è per tali motivi che l’AADI ha in corso una causa pilota per valorizzare appieno la professione, chiedendo in I grado un risarcimento complessivo di 128mila euro.

Dobbiamo spingere in questo senso se vogliamo rivoluzionare il sistema.

Il nostro articolo, come detto, si riferiva alle cause promosse e sostenute dai sindacati e ci dispiace che l’Avv. Doglio non abbia riconosciuto (come gli altri del resto) che se oggi si parla e si vincono le cause di demansionamento, forse è anche perché un infermiere che oggi fa parte dell’AADI si è beccato una bella sospensione di 7 mesi senza stipendio per aver rifiutato una mansione dequalificante e abbandonato dai sindacati e dai collegi IPASVI che Lebiu rappresenta a Carbonia, ha combattuto da solo e sulla propria pelle questa battaglia fin dal 1994.

E’ facile oggi per Lebiu issare la bandiera sulle macerie di chi ha combattuto da solo questa battaglia.

I primi ed unici ECM sul demansionamento infermieristico sono stati quelli del presidente AADI ed anzi IPASVI e sindacati l’hanno sempre deriso e su questo ci sono anche numerose lettere a firma IPASVI.

Non mi risulta che Lebiu quando fu presidente o membro del direttivo del sindacato Nursind abbia speso una sola parola sul demansionamento, così come non lo fece il presidente IPASVI di Roma Gennaro Rocco all’epoca dei fatti.

Anzi, i trasferimenti ritorsivi condotti dalla direzione sanitaria contro Di Fresco e tollerati, se non sollecitati, dai coordinatori dell’area centrale infermieristica (che all’epoca esistevano e ne facevano parte anche membri del Collegio), sono stati annullati dal TAR Lazio.

Mentre Di Fresco subiva 10 procedure disciplinari e rischiava il licenziamento perché si rifiutava di rispondere ai campanelli, effettuare cure igieniche, ecc., dove si trovavano i collegi IPASVI e la federazione?

Un errore che l’Avv. Doglio commette è quella di confondere il danno non patrimoniale con il danno patrimoniale.

Se è vero quello che dice e, cioè, che gli infermieri ricorrenti non hanno chiesto il risarcimento, ciò vuol dire che probabilmente il giudice, quantomeno, visto che denaro è stato liquidato, ha riconosciuto il danno professionale che non è un danno non patrimoniale bensì patrimoniale (Cass. Lav., 12 luglio 2016 n. 14204).

Sul diverso concetto di competenza siamo d’accordo con l’Avv. Doglio, noi stiamo con la Corte Suprema e non ci permettiamo di criticare nemmeno chi non si allinea con la giurisprudenza radicata e vuole teorizzare il diritto per contro proprio; riprendendo il titolo comparso su compartosanita.it (se fosse avvocati), se l’Avv. Doglio fosse un magistrato, la penserebbe come noi.

L’ARRAMPICATA SUGLI SPECCHI INSAPONATI

Compartosanita.it afferma, come in una sorta di teatrino, che i sindacati non copiano dall’A.A.D.I.

In verità, spesso abbiamo invitato i sindacalisti presenti ai corsi ECM sul demansionamento a non riprendere o fotografare le nostre slide e parimenti abbiamo espulso dall’A.A.D.I. sindacalisti che sfruttavano il servizio legale gratuito per girarlo poi a favore dei propri iscritti.

Del resto alcune OO.SS. si sono convenzionate con l’A.A.D.I. che è aperta a tutti tranne al collegio di Carbonia.

E’ un fatto, e abbiamo le locandine, che alcuni sindacati abbiano poi organizzato dei corsi ECM copiandoci addirittura il titolo e proiettando le stesse identiche nostre slide.

E’ un fatto, che alcuni nostri articoli siano sati spudoratamente copiati di sana pianta e che sono stati diffusi con il nome dell’associazione o del rappresentante di queste anziché con il nome dell’originario proprietario segretario dell’A.A.D.I., tanto è vero che è in corso un procedimento penale per plagio aggravato.

Compartosanita.it, quindi, per perorare la propria causa persa, intervista l’Avv. Doglio che dichiara alcune inesattezze che ci permettiamo, chiedendo anticipatamente perdono, di confutare alla luce della giurisprudenza in materia e non per abusare della professione forense (per questo l’Avv. Doglio dovrebbe minacciare querela a chi teorizza diritto senza neppure aver superato un solo esame di giurisprudenza).

Se l’Avv. Doglio fosse un magistrato, saprebbe che la Suprema Corte ha stabilito proprio l’opposto di quanto dice.

Il danno non patrimoniale è tabellato: ai sensi degli artt. 138 e 139 T.U. in materia di assicurazioni, il danno biologico, il danno morale e il danno esistenziale, che sono danni non patrimoniali, sono tabellati. Tanto è vero, che tutti i giudici sono obbligati, dal 2008, ad applicare le tabelle del foro di Milano (si chiama tabella perché tabella i danni non patrimoniali), violazione che è sindacabile in Cassazione addirittura per vizio di legge – S.C., III Civ., 19 ottobre 2016 n. 21059; 20 ottobre 2016 n. 21245; 14 giugno 2016 n. 12146; 20 aprile 2016 n. 7768; 23 febbraio 2016 n. 3505; Tr. sez. I Udine, 3 novembre 2015 n. 1429; 29 settembre 2015 n. 19211; 20 giugno 2015 n. 13331; 3 febbraio 2015 n. 11851; sez. Lav., 24 marzo 2014 n. 6850; III Civ., 30 giugno 2011 n. 14402.

Il presidente dell’A.A.D.I. è infermiere ed è iscritto al registro praticanti dell’Ordine degli Avvocati da quasi vent’anni e si è occupato sempre di diritto infermieristico, evitando nella pratica forense, divorzi, separazioni, condominio e sinistri stradali, questo per evidenziare che si occupa esclusivamente di questa materia e forse qualcosina in più la sa rispetto a chi accoglie tutto il diritto civile o il solo diritto del lavoro!

Pertanto la prego di avere maggior rispetto se non altro per i suoi colleghi che invece ritengono fondamentale l’apporto giuridico del dott. Di Fresco.

L’orticello, caro Avvocato, se lo coltivi a casa sua che al nostro ci pensiamo noi che siamo arrivati ben oltre vent’anni prima di lei a combattere il demansionamento infermieristico.

IL COLPO DI GRAZIA AL GIORNALETTO

Lasciamo la parola all’Avv. Gianluca Mari che di diritto sanitario se ne intende e lo insegna nei corsi specialistici più accreditati.

Avv. Mari buongiorno, pensa che l’articolo scritto dalla segreteria A.A.D.I. della Lombardia sia offensivo nei riguardi del suo collega?

Preliminarmente, trovo l’intera polemica surreale. Pur, rileggendo il “post” che ha suscitato l’ira del Collega, non vedo alcun motivo valido per risentirsi personalmente. In primo luogo, poiché si fa riferimento a generici giudizi inerenti Cagliari, ma anche Caltanissetta, in secondo luogo, poiché è semplice espressione di una valutazione personale in riferimento ad eventuali risarcimenti liquidati. Mi spiego, se io oggi dovessi ipoteticamente affermare che nel Foro di Roma, o di Bologna, o di Palermo, vengono liquidate agli avvocati, come ai CTU, somme ridicole, sarebbe una valutazione personale che non riguarda alcun giudice in particolare e che non lede la reputazione di nessuno. Dovrei allora attendermi un richiamo dal C.S.M.? Del pari, sempre nel post incriminato, si parla di sindacati e, dai commenti seguenti che ho letto, mi par di capire che il Collega non faccia parte di alcun sindacato, ergo, si sarebbe dovuto sentire escluso a priori dal novero degli interessati.

Potrebbe esprimere la sua esegesi sul danno professionale che il suo collega ritiene essere di natura non patrimoniale?

Senza voler eccessivamente annoiare i lettori con tecnicismi esasperati, possiamo partire dal dato di base che vuole, per costante orientamento giurisprudenziale, il danno professionale come danno a voce multipla. In sostanza, in casi di demansionamento/dequalificazione professionale, vengono alla luce aspetti valutativi differenti attinenti sia alla sfera patrimoniale del lavoratore che alla sfera personale dello stesso. Basti pensare che, dal punto di vista del danno patrimoniale, che si riconduce ad esempio al danno da perdita di chanches, al danno da depauperamento della capacità professionale, al danno da mancato avanzamento di carriera, si fa riferimento ad un criterio generale che forfettizza il risarcimento parametrandolo alla metà della retribuzione mensile per ogni mese nel quale si è verificata la dequalificazione. Non è un caso che la giurisprudenza di merito e di legittimità preveda un diverso obbligo di allegazione probatoria a seconda della complessità del caso. Ciò chiarito, appare opportuno specificare che nella macro-categoria del danno non patrimoniale, rientrano tutte quelle lesioni che ineriscono la sfera fisica e psicologica del soggetto (danno biologico, danno esistenziale, danno morale), così come pure tutte le violazioni di precetti costituzionali che tutelano in maniera diretta i diritti della personalità (ad esempio onorabilità, reputazione, completa esplicazione della persona e della propria personalità, diritti inerenti lo svolgimento dignitoso del lavoro ecc…). Ebbene, se per gli ultimi danni citati, non vi è altro metodo valutativo se non quello equitativo (appartenendo i valori sottesi ai diritti violati all’alveo dei diritti “immateriali”), per tutte le voci di danno che ineriscono la persona come entità fisico-psichica, la valutazione del danno è strettamente legata alla prova dello stesso (ad esempio mediante consulenza medico-legale), ed alla riconduzione delle lesioni riscontrate nelle voci relative alle invalidità, temporanee o permanenti che siano. Tale valutazione è necessariamente connessa alle tabelle su danno biologico che, attualmente, vedono il Tribunale di Milano come guida assoluta nel panorama nazionale. Sostenere che, quindi, tutti i danni non patrimoniali sottesi alla fattispecie del demansionamento siano valutabili esclusivamente in via equitativa, è forse non del tutto esatto.

Potrebbe esprimere la sua esegesi sul danno non patrimoniale che il suo collega ritiene non essere tabellato confondendo, forse, il danno non patrimoniale valutato ex art. 1226 C.C.?

Come già chiarito nella risposta precedente, non si può fare una affermazione assoluta in riferimento al danno non patrimoniale. Del resto, a riguardo, l’elaborazione della Suprema Corte non lascia adito a dubbi. Solo le voci che non possono in alcun modo essere provate nel loro preciso ammontare devono essere liquidate equitativamente ax art.1226 c.c.. Tutte le altre voci di danno che possono essere provate devono essere liquidate secondo criteri precostituiti e certi. Del resto è proprio per evitare che in ambito nazionale vi fossero valutazioni diverse di medesimi danni che sono state introdotte le tabelle e che vi è una corsa alla loro uniformazione. Il danno del quale si parla, dal punto di vista meramente giuridico, è un danno da fatto illecito per il quale la giurisprudenza ha eliminato la necessità che il fatto illecito fosse necessariamente un reato (2059 c.c.). Tali tipi di danno sono riconducibili, in genere, a precisi stati patologici che trovano valutazione precisa e specifica nelle tabelle dei vari Tribunali sulle quali, il giudice, non può in alcun modo intervenire. Unica valutazione ultronea concessa al giudicante, è quella riferentesi alla quantificazione di danni diversi dal biologico per i quali, in genere, viene seguita la strada della liquidazione percentuale rispetto alla somma riconosciuta per il biologico. Si badi bene, però, anche tale valutazione non è equitativa pura ma sempre legata al dato tabellare del biologico.

Ci spieghi come i praticanti avvocati infermieri dell’Associazione Avvocatura di Diritto Infermieristico forniscono una preziosa collaborazione agli studi legali convenzionati anche nel confezionare gli atti giudiziari. 

Per ciò che è la mia esperienza, ho sempre trovato prezioso il contributo di chi nell’AADi si impegna. Ciò poiché, per un legale anche esperto, è sempre utile avere una “voce” che esprime i fatti con una visione privilegiata dall’interno e che, stanti le competenze giuridiche acquisite, riesce a rappresentare in via immediata quelli, fra i fatti salienti di una vertenza, che hanno immediata valenza per l’avvocato. L’essere, poi, adusi a formule di rito e modelli di atti giudiziari, a concetti come onere della prova, decadenze, prescrizioni, ecc… semplifica di certo la vita del legale.

Concludendo, ferma restando quella che, a mio parere, esprimo in virtù della generale libertà di espressione e di pensiero che, fino a prova contraria, vige ancora nel nostro Paese, è una presa di posizione eccessiva e non necessaria e in nulla il Collega poteva sentirsi chiamato in causa stante la genericità della affermazione e soprattutto i caratteri circostanzianti che, per quanto ho avuto modo di leggere, escludevano a priori lo stesso dal novero dei destinatari.

bottom of page