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Diritti spenti, neon accesi: il caso dell’infermiera pugliese e il triste silenzio della giustizia

  • Immagine del redattore: AADI
    AADI
  • 21 lug
  • Tempo di lettura: 5 min

Il sindacato COINA ha intervistato il dottor Mauro Di Fresco, responsabile dell’Ufficio Legale dell’AADI, in merito al clamoroso caso di un’infermiera pugliese affetta da grave patologia, costretta a lavorare in condizioni che – secondo quanto denunciato – violano i suoi diritti riconosciuti dalla legge e certificati da documentazione medica. Dopo aver vinto tre cause contro la ASL BAT, la lavoratrice ha visto rigettata una procedura d’urgenza per il riconoscimento delle sue esigenze sanitarie, nonostante i verbali INPS, le certificazioni specialistiche e le prove documentali. Nell’intervista, Di Fresco racconta i dettagli della vicenda, denuncia le gravi anomalie riscontrate nell’ordinanza e preannuncia il ricorso in Cassazione, definendo il provvedimento “una palese negazione del diritto del lavoro e della tutela dei disabili”.


Buongiorno dottor Mauro Di Fresco, abbiamo appreso questa notizia. Può spiegarci che cosa è successo a questa infermiera?

L’infermiera in questione, dopo aver vinto tre cause contro la ASL BT, ha presentato una procedura d’urgenza perché, affetta da una grave patologia cronica e invalidante, non può assolutamente lavorare in una stanza illuminata da luci al neon. Il direttore del distretto socio-sanitario le impediva però di lavorare con la luce spenta. Dopo oltre 30 diffide ignorate e successive visite neurologiche che hanno confermato la sua grave disabilità, siamo stati costretti a proporre un ricorso d’urgenza.


Ma nell’ordinanza si legge che l’infermiera non avrebbe dimostrato la sua malattia. Come lo spiega?

Non è la prima, né sarà l’ultima volta che i giudici non leggono davvero i ricorsi dei lavoratori. La decisione ci ha turbati per una serie di omissioni gravissime. Già lunedì depositeremo il ricorso di merito, con l’obiettivo di arrivare in Cassazione, dove le influenze territoriali sono pressoché inesistenti. Il giudice, con il solito “copia e incolla” delle dichiarazioni del datore di lavoro – metodo già sanzionato in Cassazione perché la valutazione deve essere critica – ha ritenuto irrilevanti il verbale della Commissione INPS che certifica l’handicap (legge 104/92), l’invalidità e ben 15 certificazioni mediche specialistiche di tre Policlinici universitari che accertano la patologia.


Sembra assurdo. Perché il giudice non ha nominato un medico del Tribunale per verificare la malattia?

Lo ha fatto, ma su richiesta della ASL. Ed è stato nominato un medico appena pensionato… dalla stessa ASL! Una palese situazione di incompatibilità. Abbiamo contestato la nomina, ma il giudice ci ha risposto: “Quello che è fatto è fatto”.


E cosa ha stabilito il consulente tecnico d’ufficio?

Che l’infermiera era effettivamente malata e invalida. Ma il giudice ha ritenuto che, siccome la CTU dava ragione all’infermiera, fosse irrilevante.


Avete presentato altre prove?

Certo: fotografie che mostrano chiaramente la stanza dove lavora l’infermiera, illuminata da otto tubi al neon lunghi quattro metri ciascuno.


E il giudice?

Irrilevante.


Avete presentato le diffide?

Sì.


E il giudice?

Irrilevanti anche quelle. Alcune erano firmate da me, e quindi ha insinuato che io fossi il compagno dell’infermiera. Ma non ha detto nulla sulle altre, firmate da tre dirigenti sindacali dell’AADI: anche loro, presumibilmente, sarebbero suoi compagni? Vedremo nelle sedi opportune.


Avete citato giurisprudenza della Cassazione?

Oltre cento sentenze.


E il giudice?

Irrilevanti.


Nell’ordinanza ci saranno almeno delle sentenze della Cassazione contrarie a voi?

Nessuna. L’ordinanza ha semplicemente copiato le difese della ASL, in nome del popolo italiano, eludendo tutta la giurisprudenza rilevante.


I testimoni della ASL hanno smentito l’infermiera?

Ahahah (ride ironicamente): il mobber denunciato nel ricorso è stato trasformato dal giudice in testimone a favore di sé stesso! È come se uno stupratore testimoniasse contro la vittima, che per giunta non può parlare. All’infermiera è stato vietato di parlare, mentre il mobber ha potuto dire un fiume di falsità. Le contesteremo tutte davanti a un collegio giudicante imparziale.


La ASL ha dimostrato cosa ha fatto per tutelare la dipendente?

No. Non ha dimostrato nulla.


E come ha risolto questa omissione il giudice?

Semplice: ha scritto che la ASL ha dimostrato tutto, anche se non è vero. Ha violato il principio di imparzialità. Ma l’ordinanza sarà esaminata riga per riga, e vedremo se certi siti di informazione infermieristica avranno il coraggio di smentirsi, quando la sentenza spazzolerà via l’ordinanza. Intanto la Cassazione continua a sostenere le nostre tesi.


Il datore di lavoro non ha l’obbligo di rispondere tempestivamente alle richieste del disabile?

Assolutamente sì. Ma la ASL non ha mai risposto alle diffide, per tre anni consecutivi. Il giudice ha scritto il falso affermando che lo avesse fatto. Ha ignorato del tutto la giurisprudenza della Cassazione e della Corte di Giustizia Europea, che obbliga il datore di lavoro a rispondere formalmente.


Nell’ordinanza si legge che prima del ricorso l’infermiera avrebbe dovuto segnalare il problema al Disability management.

Ahahahah. Ma quale Disability management? La ASL ha dimenticato di istituirlo! Il giudice ha preso per buona la versione del mobber, che ha confuso il Disability management con il Bed management. È stato un teatro. Il ricorso era redatto nello stile della Suprema Corte, quindi inattaccabile. Il problema è il territorio: è la Puglia, capiamoci.


Le foto mostravano davvero la postazione dell’infermiera con cavi e PC aggrovigliati?

Sì, ma il giudice ha detto che si possono spostare con il piede. E il medico competente ha dichiarato che costituiscono rischio di infortunio, ma non per la salute. Capito? Rischio sì, salute no. La Cassazione chiarirà.


Come può un’ordinanza escludere l’invalidità certificata dall’INPS?

Secondo il giudice, si deve dimostrare che una malattia certificata come invalidante sia effettivamente invalidante, e che la disabilità certificata ex legge 104/92 sia una vera disabilità. È come dire che il verbale INPS è veritiero, ma non vale contro la ASL. In Italia vale ovunque, tranne dentro l’ospedale. Dentro sei sano, fuori disabile. Il giudice ha ignorato anche le direttive europee e ha scritto che basta dichiarare qualcosa nel controricorso – anche senza averlo fatto – per farlo risultare come fatto realmente. È vietato dall’articolo 112 c.p.c., e sarà motivo di ricorso in Cassazione.


Infine, l’ordinanza dice che l’infermiera non sta subendo alcun danno. È vero?

Assolutamente falso. È già in corso una causa per risarcimento da 123 mila euro, che finirà anch’essa in Cassazione. Il giudice ha dichiarato irrilevante perfino la risonanza magnetica (ripetuta in tre strutture pubbliche), le consulenze neurologiche universitarie, l’ischemia cerebrale diffusa, le cure palliative internazionali. Ha scritto che l’emicrania ischemica invalidante non è una malattia. Ha detto così tante corbellerie che abbiamo già avviato procedura contro di lui per responsabilità professionale aggravata. Alcune dichiarazioni sono false e manipolate per far vincere a tutti i costi il datore di lavoro. Urge una norma che equipari la responsabilità del magistrato a quella dei sanitari: oggi hanno una licenza di uccidere, tanto risarcisce il Ministero della Giustizia (ops, Ingiustizia). Ma chi sbaglia, deve pagare. Soprattutto chi lo fa deliberatamente.


Cosa si sente di dire ai lavoratori pugliesi dopo questa vicenda?

Ogni causa va messa in conto per la Cassazione. A Trani è stato cancellato il diritto dei lavoratori disabili. L’AADI d’ora in poi promuoverà una raffica di ricorsi da portare in Cassazione, così da ottenere sentenze “bastone” finché qualche giudice non inizierà ad applicare correttamente la legge, e smetterà di inventare documenti inesistenti per piegare il diritto alla volontà di parte.


Ringraziamo il dottor Mauro Di Fresco per l’intervista. Il sindacato COINA continuerà ad aggiornare i lavoratori sulla vicenda.


La Redazione CoinaNews

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