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Perché la Cassazione ha rigettato il demansionamento dell’infermiera

  • Immagine del redattore: AADI
    AADI
  • 29 ago
  • Tempo di lettura: 10 min

Cass. Lav., 17 agosto 2025 n. 23431

Nessuno vi ha spiegato esattamente per quale motivo l’infermiera ha perso la causa nonostante avesse ragione e fosse stata difesa da ben due avvocati famosi.

Lo farò io, usando termini semplici e comprensibili perché l’istituto impugnatorio di legittimità è molto complicato, come potrete leggere appresso e anche i migliori avvocati d’Italia, se non stanno molto ma molto attenti a come scrivono il ricorso e cosa scrivono nel ricorso, perdono la causa pur avendo ragione.

Prima di affrontare la questione che ha riguardato l'infermiera, bisogna conoscere alcuni dati che interessa la procedura in Cassazione.


A proporre il ricorso principale in Cassazione, sono i lavoratori con il 59,05% dei ricorsi contro il 40,95 dei datori di lavoro. Il ricorso incidentale, cioè la richiesta risarcitoria proposta dai datore di lavoro contro il lavoratore è pari al 5,79% dei ricorsi presentati dal lavoratore; per capirci quasi 6 cause proposte dai lavoratori vengono impugnate dai datori di lavoro per chiedere un risarcimento al lavoratore e non solo per difendersi e chiedere alla Cassazione di rigettare le domande del lavoratore.

I lavoratori, pur essendo coloro i quali promuovono il maggior numero di ricorsi, vincono solo nella misura del 22,69%. I datori di lavoro, invece, vincono nella misura del 31,85%.I lavoratori, vincono, complessivamente, tra ricorsi promossi da loro stessi e i ricorsi subiti dal datore di lavoro (per esempio per far accertare una sanzione disciplinare o il licenziamento o per chiedere il risarcimento per i danni subiti dal lavoratore), nella misura del 38,33% e i datori di lavoro nella misura del 61,66%. In pratica, i datori vincono quasi il doppio delle cause in Cassazione.

Ma perché? I loro avvocati sono più bravi? No, perché, se il lavoratore perde per i motivi che vi scriverò, automaticamente vince il datore, ma non perché ha ragione, ma perché, magari, il ricorso del lavoratore era scritto male!

Gli avvocati dei lavoratori guadagnano le spese legali nella misura del 38,47 %, mentre gli avvocati dei datori nella misura del 61,53%. Conviene fare l’avvocato delle aziende sanitarie che l’avvocato sindacale. Si guadagna quasi il doppio!

Le cause vinte e cassate con rinvio alla Corte di appello perché rifaccia il processo con le regole imposte dalla Cassazione, rappresentano la percentuale del 22,91%.

Ogni sentenza di rigetto, sia del ricorso principale che del ricorso incidentale, è sempre conseguita la condanna al pagamento del doppio contributo di iscrizione a ruolo (tassa per ogni ricorso) che in Cassazione è di 1.518,00 euro. Questo doppio contributo è subito dai lavoratori che lo devono pagare nel 77,31% dei ricorsi da loro promossi e ciò è grave perché incide seriamente sul reddito vitale dei lavoratori più poveri o nel bisogno (anche un medico che guadagna bene potrebbe avere problemi economici es spese dentistiche).

Il 42% delle cause sono viziate da motivi inammissibili per difetto di autosufficienza (nel ricorso mancano parti indispensabili per comprenderlo).


Perché si perde la causa pur avendo ragione

Per tre motivi:

  1. Avete torto, poi vi dirò come si ha torto in Cassazione (non è come credete voi);

  2. Il ricorso è inammissibile (vedremo quando);

  3. Il ricorso è irricevibile, quando ci sono vizi di notifica (in Cassazione si notifica all’avvocato dell’appello NON alla controparte e anche a solo uno degli avvocati se nonostante l’altro collega abbia preso parte all’appello, hanno dichiarato la rappresentanza benché congiunta anche DISGIUNTA) o vizi insanabili nel deposito in cassazione del ricorso o quando non si cita una parte diversa da quella che deve stare in giudizio.     


Come si impugna in Cassazione

  1. In Cassazione si impugna esclusivamente la sentenza della Corte di appello, NON del tribunale.

  2. L’impugnazione in Cassazione è a forma vincolata e a motivo vincolato, mentre l’impugnazione in Corte d'appello, contro la sentenza del tribunale è a forma libera e a motivo libero. Cosa significa? Significa che in Cassazione si può impugnare la sentenza della Corte d’appello solo per 5 motivi specificati nell’articolo 360 codice procedura civile (C.P.C.) e se la sentenza di appello percorre gli stessi motivi di fatto e non di diritto del tribunale, allora i motivi sono solo quattro, perché non si possono discutere in cassazione i fatti nel merito che, purtroppo, quando la Corte d’appello conferma il tribunale (le sentenze in questo caso si chiamano doppia conforme) sono accertati definitivamente e la Cassazione non ci può mettere bocca. ANCHE PER QUESTO MOTIVO L’INFERMIERA HA PERSO.

  3. La Cassazione è giudice di legittimità non del merito.

  4. I motivi per impugnare in Cassazione sono esclusivamente di legittimità, tranne l’ultimo motivo, ma è particolare: 1. motivi attinenti alla giurisdizione; 2. violazione delle norme sulla competenza, quando non è prescritto il regolamento di competenza; 3. violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro; 4. nullità della sentenza o del procedimento; 5) omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (questo motivo non è percorribile in caso di doppia conforme e il fatto deve essere stato discusso e verbalizzato e scritto negli atti). L’avvocato deve dimostrare che, benché le sentenze sembrino identiche (I e II grado), non lo sono perché accertano il fatto su due linee argomentative diverse. Solo così potrà impugnare il quinto motivo in Cassazione.

  5. In Cassazione va precisato lo svolgimento del giudizio di primo grado, lo svolgimento del giudizio di secondo grado e vanno indicati i motivi di impugnazione di Cassazione indicando esattamente l’articolo 360 C.P.C. e il comma che attesta quanto stiamo per impugnare e questo va fatto per ogni capo di motivo. Se quello che c’è scritto all’interno dell’intestazione del capo di motivo che abbiamo indicato, non c’entra nulla, il ricorso è dichiarato inammissibile e perdete la causa per questo errore cognitivo. Sapete in quanti ci cascano in questo tranello? Tantissimi, anche avvocati famosissimi perché è facile divagare e andare fuori tema.

  6. In Cassazione devono essere impugnate tutte le motivazioni di diritto che traete dalla sentenza della Corte d’appello, ma se ne lasciate una fuori, il ricorso viene rigettato nel merito, perché quello che non impugnate, se è sufficiente a sostenere la tesi della Corte di appello, è idoneo a sorreggere tutta la sentenza. Sapete quanti avvocati perdono per questo?

  7. Se in Cassazione contestate le prove perché la Corte di appello le ha pretese dalla parte che non doveva renderle (es. nel demansionamento è il datore che deve dimostrare che non ha demansionato l’infermiera, mentre questa deve comunque allegare le circostanze delle mansioni improprie effettivamente volte e il nesso causale dell’illecito tra le mansioni svolte, quelle che invece sono proprie e il danno conseguenza) oppure perché il giudice ha valutato una prova atipica (registrazioni audio-video) contro una prova legale (documenti da fonte certa e testimoni) o ha fondato la sentenza su prove che le parti non hanno presentato (violazione artt. 115 e 166 C.P.C. che in cassazione si impugna con art. 360 n. 3) allora potete farlo, ma se si scopre che il giudice invece ha commesso un errore percettivo della prova cioè l’ha travisata, non l’ha capita bene e ha commesso un qui pro quo, allora il ricorso è inammissibile perché avreste dovuto presentare un ricorso per revocazione, che ha tutta un’altra procedura.

  8. Se l’infermiere demansionato non “allega il fatto” cioè non dimostra quali mansioni ha svolto realmente, quanto hanno inciso temporalmente nel turno di lavoro, non dimostra quali mansioni deve fare, allora perderà la causa in ogni grado di giudizio e anche nel merito della legittimità.   

  9. Non si deve entrare nel merito della valutazione del fatto perché la Cassazione non è giudice del merito e quindi dichiarerà il ricorso inammissibile.

  10. Il ricorso in Cassazione è diverso da tutti gli altri ricorsi perché va istruito come un atto di citazione. L’atto di citazione è un procedimento in uso del diritto civile (condominio, contratti, locazione, danni auto, danni medici, ecc.) e deve essere notificato alla controparte indicando la data della udienza decisa dall’avvocato (secondo termini previsti dalle norme), poi una volta notificato va depositato al giudice. Il ricorso invece, al contrario, prima va depositato al giudice, che fissa l’udienza e poi va notificato alla controparte. Il ricorso in Cassazione segue l’istruttoria dell’atto di citazione, ma il contenuto motivazionale, cioè come va scritto, segue le norme del ricorso e non dell’atto di citazione. Se un avvocato sbaglia il ricorso questo è dichiarato inammissibile.

  11. Il ricorso per Cassazione deve essere depositato entro 180 giorni dalla conoscenza ufficiale della sentenza della Corte d’appello e 60 giorni (termine breve) se la sentenza viene notificata dalla controparte. Recentemente ci sono state molte disquisizioni all’interno della Corte di Cassazione per la sospensione del periodo covid e le proroghe e ciò ha ingenerato molte polemiche e dichiarazioni di inammissibilità perché il diritto non era certo. La Cassazione ha valore nomofilattico (deve emanare sempre lo stesso diritto senza mutarlo), ma spesso emana sentenze rivalutate nel tempo che cambiano il punto di diritto perché si sviluppa una diversa interpretazione della legge, sia a seguito della Corte Costituzionale, sia, come è successo in maniera eclatante per l’indennizzo delle ferie non godute nella pubblica amministrazione (vietate dalla legge italiana) che la Cassazione ha dovuto, invece, autorizzare per effetto della Corte di giustizia europea.

  12. Esposizione troppo lunga, prolissa, confusionaria, non selettiva e incomprensibile, rendono il ricorso inammissibile.

  13. Non indicare dove si trova il documento nel fascicolo degli allegati che esponiamo in Cassazione rende il ricorso inammissibile perché non permette ai giudici di verificare quanto dichiarato.

  14. Sbagliare l’indice degli allegati da riportare in conclusione del ricorso, rende il ricorso inammissibile perché non permette ai giudici di verificare quanto dichiarato.

  15. I giudici della Cassazione non possono cercare i documenti perché è vietato dalla legge. Devono poter leggere il documento citato e argomentato in maniera molto facile e tempestiva senza andare a sfogliare gli allegati. Posizionare un allegato con un numero che poi non corrisponde a quello scritto nel ricorso (es. allegato 5 - Ordine di servizio), rende ricorso inammissibile perché il giudice non va a cercare l’Ordine di servizio, se trova un altro documento chiude subito il fascicolo e dichiara il ricorso inammissibile.


Capite che questi errori sono possibili; per questo l’A.A.D.I., recentemente, impone che tutti gli atti vengano verificati da due avvocati contemporaneamente e tutte le sentenze citate, tutte, vengono studiate integralmente, non faccio mai copia e incolla da internet; quello che riporto lo studio bene prima. Ecco perché spesso scovo sentenze false negli atti giudiziari delle aziende sanitarie o sentenze inconferenti (che non c’entrano nulla col caso in esame). Ci provano, ma a loro rischio perché tale scorrettezza è punita con il doppio delle spese legali e una multa decisa a favore del ricorrente oltre che da malafede che, se ben argomentate, porta le ragioni dalla parte del ricorrente.

   

Concludendo tali premesse, anche se sommarie e parziali perché ci sarebbe molto da dire sul procedimento in Cassazione, esaminiamo la sentenza dell’infermiera.


Perché l’infermiera ha perso

  1. Carenza di allegazione. Gli avvocati dell’infermiera non hanno scritto perfettamente quante mansioni inferiori svolgeva e per quanto tempo le svolgeva durante l’orario di lavoro, non permettendo al giudice di valorizzare il danno da risarcire perché il danno risarcibile, in questo caso (danno patrimoniale da lesione della personalità professionale ex art. 2, 3 e 41 Cost. nonché 2087 e 1218 C.C. e art. 52, D.Lgs. n 165/2001) è risarcito come percentuale della retribuzione, essendo un danno parametrato in base all’art. 1226 C.C. (valutazione equitativa, cioè secondo il sacrificio sofferto in tempo e in quantità) per cui, il giudice di merito (cioè I e II grado) non ha potuto calcolare il danno perché non sapeva per quanto tempo sono state fatte queste mansioni. Si poteva correggere questa carenza? Sì anche in appello perché in appello è vietato introdurre nuovi fatti e nuove prove, cioè, vige il cosiddetto divieto del ius novorum, ma la giurisprudenza ha stabilito che solo quando vi è mutatio libelli cioè una mutazione totale dei fatti e delle prove vige il divieto, ma non in caso di emendatio libelli, cioè, integrazione di quanto già allegato. La quantificazione delle mansioni nei termini succitati comporta l’emendatio ed è quindi ammissibile anche in appello. Comunque, altro errore commesso, se si chiede al giudice di appello l’applicazione dell’art. 421 C.P.C., questi è obbligato ad accettare le nuove prove se fondamentali per la ricerca della verità materiale del fatto discusso. Altro errore: oltre al 421, non sono state chieste in cassazione le prove deduttive ovvero l’obbligo che aveva il giudice di appello (i giudici sono tre in appello, ma si parla in maniera unipersonale nei giudizi) di procedere per deduzioni.

  2. Strumentalità delle mansioni di O.S.S.. Qui la storia si complica molto. I giudizi di primo e secondo grado hanno dichiarato che le mansioni di OSS da parte dell’infermiera, quando sono marginali, cioè non sono tante e sono comunque affini a quelle infermieristiche, devono essere svolte dall’infermiera, senza alcun risarcimento. La questione della accessorietà, strumentalità o complementarità della mansione è una storia trentennale che affronto dal 1994 e devo dire sempre superata vittoriosamente perché la Cassazione, con giudizi perla che custodisco, ha sempre dichiarato che la strumentalità delle mansioni di una professione intellettuale non è applicabile quale esimente dell’illecito datoriale. Praticamente, attraverso un’argomentazione complicata, non faccio applicare questa regola agli infermieri, ma in questo caso, purtroppo, pare che questa accezione non sia stata proposta. Il punto non adeguatamente contestato passa fino in Cassazione.

  3. Art. 49 del Codice deontologico. Erroneamente, i giudici del merito (e lo fanno spesso copiando vecchie sentenze) hanno utilizzato l’articolo 49 del codice deontologico per dimostrare che l’infermiere deve sopperire alle carenze del proprio posto di lavoro. Premessa l’inopportunità creata dalla FNOPI, che sembra che ci remi contro troppo spesso, l’articolo 49 è stato abrogato. Anche se l’abrogazione di una norma ha effetto successivamente e non retroattivamente, comunque, nel giudizio, può essere argomentato che l’abrogazione è stata motivata dalla inopportunità di quanto contenuto e che la norma, benché vigente, è caduta in oblio perché contraria alle leggi dello Stato che impongono l’esercizio delle proprie mansioni. Tra l’altro, come più volte ripetuto dalla Cassazione, il codice deontologico non è una fonte del diritto per cui non può vincolare nessuno, “neppure quelli che la scrivono” e neppure il dipendente infermiere che deve rispondere esclusivamente alla propria amministrazione.


L’infermiera avrebbe vinto?

Casisticamente sì.


Ma chi può affermarlo con certezza? Comunque, tutte le contestazioni sollevate dalla Cassazione che hanno fondato la dichiarazione di inammissibilità ATTENZIONE inammissibilità, erano facilmente superabili (per chi svolge esclusivamente questa attività da sempre). L’infermiera non ha perso perché aveva torto, ha perso perché le impugnazioni sono state tutte sbagliate sul piano del diritto, cioè non sono state argomentate esaustivamente già in appello che, a leggere la sentenza della Cassazione, gli stessi giudici hanno confuso molti istituti forse anche pregiudizialmente.

Purtroppo, unico errore non sanabile in Cassazione e che non ha perdonato l’infermiera, è stato non indicare esattamente quante mansioni svolgeva in termini di carico di lavoro e quanto la impegnavano (minuti/ore nel turno percentualizzando il tempo per chiedere parimenti la stessa percentuale di risarcimento) sacrificando il tempo da dedicare allo svolgimento sereno, qualificante e migliorativo delle proprie mansioni.   


In Italia, i ricorsi totalmente inammissibili sono pari al 19,16% di tutti i ricorsi che hanno già superato la sezione filtro.

I ricorsi dichiarati totalmente inammissibili promossi dai lavoratori sono pari al 20,8%, mentre i ricorsi dichiarati totalmente inammissibili presentati dai datori di lavoro sono pari al 10,6%. Gli avvocati dei datori sanno scrivere meglio, sono migliori, capiscono meglio come scrivere un ricorso per cassazione Forse li pagano meglio e sono incentivati?


Comunque, non capisco perché tanta pubblicità su questo caso, visto che altri identici a questo se ne contano a centinaia e, alcuni, sono anche scandalosi in punto di diritto e valore sociale e professionale degli infermieri.

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