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Al Coordinatore demansionato spetta il danno esistenziale oltre alla rendita Inail.


Commento a Cass. sez. lavoro n. 23189 del 4 ottobre 2017

Interessantissimo caso che vede questa volta coinvolto un coordinatore demansionato e sfruttato costretto a fare l’infermiere, ossia attività diverse da quelle di sua competenza.

E’ da notare come la Cassazione usa termini completamente sconosciuti per gli addetti ai lavori nell’indicare le figure professionali sanitarie di coordinatore e di infermiere, avvalorando ciò che predichiamo ormai da decenni, ossia che la percezione che noi infermieri abbiamo della nostra professione non corrisponde a quella che ne hanno la realtà sociale ma soprattutto giuridica; tale divergenza  sempre più spesso si riscontra anche nei media e nei talk show quando  parlano della professione infermieristica.

La  Corte di Appello di Firenze, con sentenza del 4711/2011, in riforma della precedente sentenza del Tribunale di Livorno, ha negato la risarcibilità del danno non patrimoniale in favore del ricorrente RC, operatore professionale dirigente (coordinatore) livello DS che lavora presso la ASL X di Livorno, liquidato in primo grado con 75.000 € oltre accessori, per danno biologico conseguente alla diminuita integrità psicofisica causata dall’assegnazione a mansioni di assistente sanitario (infermiere) qualifica inferiore al suo inquadramento professionale

Il ricorrente, identificando la sua figura professionale con l’impartire ordini al personale, si rifiutava di svolgere ogni altra mansione che non prevedesse tale modalità direttiva, risultando quindi spesso inattivo.

Per questo è stato riconosciuto affetto da malattia professionale diagnosticata come “sindrome psicopatologica da costrittività organizzativa sul lavoro” ed indennizzato dall’INAIL con una rendita pari a 81.212,12  euro.  Il ricorrente aveva inoltre chiesto il risarcimento per danno non patrimoniale (esistenziale), nella misura di 75.000 € accordatogli dal giudice di prime cure e negatogli poi dalla corte di Appello in quanto ritenuto non provato, ed in ogni caso ritenuto ampiamente coperto dalla rendita Inail.

La corte di Appello ha quindi negato al ricorrente il risarcimento ed il riconoscimento del danno differenziale non riscontrando in capo alla ASL datrice di lavoro alcuna responsabilità contrattuale ed extracontrattuale;  ha inoltre statuito che il rifiuto da parte dell’appellante delle prestazioni richieste dalla ASL datrice di lavoro, non potesse essere ascritto ad una eccezione di inadempimento contrattuale da parte dello stesso, ma ingenerasse una forma di volontaria autoesclusione inizialmente tollerata dalla ASL datrice di lavoro  e di seguito  ritenuta rilevante ai fini di un provvedimento disciplinare.

La corte di Appello ha ritenuto inoltre che, il nucleo della qualifica di appartenenza non fosse pienamente sovrapponibile alla funzione di direzione, ma presentasse una ricchezza di aspetti prevedendo anche incarichi unipersonali con compiti di studio, programmazione, formazione, organizzazione didattica, formulazione di piani operativi, inchieste epidemiologiche ed esposizione di dati statistici.

Continua ancora la Corte, che sotto il profilo della responsabilità risarcitoria per un presunto demansionamento, la sentenza appellata ha escluso del tutto l’imputabilità di condotte lesive in capo alla ASL per violazione del 2087 cod. civ..

Avverso la sentenza della corte di Appello il coordinatore RC fa ricorso in Cassazione, in via incidentale la Asl propone altresì ricorso.

La Suprema Corte così si esprime sui succitati motivi del ricorso; è pacifico in giurisprudenza che la nuova dislocazione dei danni alla persona di cui all’art. 2059 cod. civ. comporti l’individuazione nell’ambito del danno non patrimoniale risarcibile, la categoria del danno morale o danno soggettivo puro, riconducibile alla sofferenza morale soggettiva, del danno biologico, riconducibile alla lesione dell’integrità psicofisica e cioè alla compromissione della salute, e del danno esistenziale riconducibile alla sfera realizzatrice dell’individuo ed attinente al fare del soggetto offeso (Cass. n. 14485/17).

In proposito, continua la Cassazione, la corte di Appello ha ritenuto che l’appellante, in ordine al danno patrimoniale per mancato guadagno e perdita di chance derivante dall’illegittimo comportamento aziendale, non avesse offerto dei precisi riscontri.

Quanto al danno non patrimoniale, ha rilevato che, poiché la rendita accertata dall’Inail per danno biologico, fosse  di gran lunga superiore al calcolo effettuato sulla base delle tabelle in uso presso il tribunale di Firenze per una menomazione del 22{337a32c266fa313013ee5f2ebb2343de8037a626bf240e7785350e77a1e683bc}, tant’è che avrebbe infatti dovuto aggirarsi sui 42.000 €, la stessa andasse a coprire tutto quanto di spettanza del ricorrente,non solo in relazione al danno psicofisico (ex art. 13, D.lgs. n. 38/2000, c.d. danno biologico) ma anche agli aspetti non patrimoniali, esistenziali e morali posti a fondamento della domanda.

La Suprema Corte, giustamente afferma che la corte di Appello erra laddove manifesta una incompatibilità tra la rendita Inail per il ristoro del danno biologico e l’eventuale maggior credito per il danno differenziale dovuto al comportamento datoriale, infatti per giurisprudenza oramai consolidata, si è esclusa tale incompatibilità proprio in occasione di danni da demansionamento “le somme eventualmente versate dall’Inail a titolo di indennizzo ex art. 13 D.Lgs n. 38/2000non possono considerarsi integralmente satisfattive del diritto al risarcimento del danno biologico in capo al soggetto infortunato o ammalato, sicchè a fronte di una domanda del lavoratore che chieda al datore di lavoro il risarcimento dei danno connessi all’espletamento dell’attività lavorativa, il giudice adito, una volta accertato l’inadempimento dovrò verificare se, in relazione all’evento lesivo, ricorrano le condizioni soggettive ed oggettive per la tutela obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali stabilite dal D.P.R. n. 1124/1965 ed in tal caso, potrà procedere anche d’ufficio alla verifica dell’applicabilità dell’art. 10 del succitato decreto, ossia alla individuazione di danni richiesti che non siano stati riconducibili alla  copertura assicurativa (c.d. danni complementari) da risarcire secondo le regole della responsabilità civile; ove siano state dedotte in fatto dal lavoratore anche circostanze integrali gli estremi di un reato perseguibile d’ufficio, potrà pervenire alla determinazione dell’eventuale danno differenziale, valutando il complessivo valore monetario del danno civilistico secondo criteri comuni, con le indispensabili personalizzazioni, dal quale detrarre quanto indennizzabile dall’Inail, in base ai paramenti legali, in relazione alle medesime componenti del danno distinguendo, altresì, tra danno patrimoniale e danno non patrimoniale, ed a tale ultimo accertamento procederà pure ove non sia specificata la superiorità del danno civilistico in confronto all’indennizzo, ed anche se l’istituto non abbia in concreto provveduto all’indennizzo stesso” (Cass. n. 916672017).

La Corte di Cassazione cassa la sentenza e rinvia tutto alla corte di Appello che dovrà riesaminare la controversia in conformità del principio di diritto formulato dalla Suprema Corte e decidere in guisa anche sulle spese di giudizio.

Sentenza molto interessante che conferma la tesi dell’AADI che prevede oltre al risarcimento del danno biologico a seguito del demansionamento anche il risarcimento del c.d. danno non patrimoniale ossia quello di relazione,  esistenziale e morale.

Dott. Carlo Pisaniello

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