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Nessun limite ai turni di Pronta Disponibilità secondo la Suprema Corte

Commento a Cassazione Sez. Lavoro, 25 ottobre 2017, n. 25380

Il Tribunale di Appello di Genova, in riforma della sentenza del giudice di prime cure, ha respinto la domanda di alcuni infermieri in servizio presso il blocco operatorio della ASL X, diretta ad ottenere il risarcimento del danno per l’inserimento  nei turni di pronta disponibilità in misura superiore a quella prevista dal CCNL (che stabilisce  6 turnazioni per ciascun dipendente), in maniera costante e non occasionale.

La Corte di Appello ha rilevato che la ASL non aveva commesso alcun inadempimento contrattuale, posto che il tenore della disposizione di cui trattasi (art. 7 ccnl comparto sanità 20.09.2001, integrativo del 7. 4.1999), rende chiara l’intenzione delle parti di prevedere la soglia dei 6 turni mensili, non come contingente invalicabile, tenuto conto della specificità dei destinatari e del piano retributivo indicato dalla contrattazione collettiva.

I ricorrenti con il primo motivo denunciano violazione e falsa applicazione della disposizione contrattuale, avendo la Corte di Appello erroneamente interpretato la disposizione contrattuale che fa chiaramente intendere l’eccezionalità dell’istituto, che  non può superare il limite dei sei turni mensili per ciascun operatore sanitario.

Con il secondo motivo lamentano omessa e/o insufficiente motivazione in ordine al presupposto che sorregge il diritto della ASL di richiedere i turni in PD oltre il limite di 6, posto che lavorare presso il blocco operatorio già di per sé rappresenta la condizione per poter ricorrere all’istituto di cui trattasi.

Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 cod.civ. nonchè vizio di motivazione in ordine al presupposto lessicale che sorregge il ricorso dell’azienda, ad un numero di turni per ciascun infermiere superiore a 6, dovendosi interpretare l’inciso “di norma”, non come previsione massima e di natura programmatica, bensì come limite massimo di prestazioni di turni di PD, limite che tiene conto della conseguente contrazione del diritto al godimento dei riposi.

Inoltre denunciano che la Corte ha trascurato che il diritto al riposo è costituzionalmente tutelato e che quindi il superamento di 6 PD incide negativamente su di esso.

La Suprema Corte, trattando i motivi congiuntamente, rileva che secondo il disposto dell’art. 1362 cod. civ., nell’interpretare il contratto, si deve indagare la reale intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole, il comma successivo stabilisce poi che per determinare la comune intenzione delle parti si deve valutare il loro comportamento complessivo, anche posteriore alla conclusione del contratto.

La giurisprudenza della Corte ha avuto modo di precisare al riguardo che, ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti, il primo strumento è rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate nel contratto, con la conseguente preclusione del ricorso ad altri metodi interpretativi quando la comune volontà delle parti emerga in modo chiaro ed immediato dalle espressioni adoperate e sia talmente chiara da precludere un diverso significato (Cass. n. 14850/04; 28479/05; 4176/07; 110/13).

Nel caso di specie la disposizione contrattuale risulta chiara nella sua portata precettiva, infatti, contrariamente a quanto affermato in ricorso, ben può ritenersi sotto il profilo grammaticale e sintattico che, l’uso nel comma 10 dell’inciso “di regola”, stia a significare una situazione che si verifica normalmente ma che non escluda, in determinati contesti, la ricorrenza a circostanze diverse.

La Corte di Appello ha considerato il tenore lessicale della disposizione ed ha ritenuto che la specificità dei destinatari e le ineludibili esigenze di servizio ospedaliero consentano di leggere la dizione quale previsione di massima e di natura programmatica e consentano per altro all’azienda, di richiedere turni di PD anche in misura superiore a sei.

Per tali motivi, il ricorso si risolve in una difforme interpretazione della disposizione contrattuale e deve essere pertanto rigettato, considerando altresì che non sussiste nemmeno il prospettato vizio di motivazione insufficiente e contraddittorio.

Secondo la condivisa e consolidata giurisprudenza della Cassazione, il vizio di insufficiente motivazione di una sentenza sussiste se essa mostri, nel suo insieme, un’obiettiva deficienza del criterio logico che ha condotto il Giudice di merito alla formazione del proprio convincimento, mentre il vizio di contraddittoria motivazione presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti, da elidersi a vicenda e da non consentire l’individuazione della ratio decidendi.

La Corte di Appello ha rilevato che il tenore lessicale della disposizione contrattuale rende chiara l’intenzione delle parti sociali di prevedere la soglia di sei turni nell’arco mensile quale previsione massima di tipo programmatico, ma ciò non pregiudica che si possa superare questo limite vista la specificità degli operatore sanitari (strumentista e infermiere), lavoratori chiamati ad assicurare un servizio di rilevante interesse pubblico.

La Corte rigetta quindi il ricorso e condanna alle spese di lite i ricorrenti infermieri nell’ordine di 200 euro più spese professionali degli onorari dei legali dell’Azienda nell’ordine di 16.000 euro oltre le spese generali.

Sentenza che farà storia purtroppo nel panorama infermieristico per una serie di ragioni: la prima è senza dubbio da ricollegarsi all’interpretazione della disposizione contrattuale, la quale lascia ancora a nostro avviso, dubbi interpretativi irrisolti, perché  la dicitura  “di regola” non da certezza alcuna sulla reale portata della norma in questione e  le Aziende Sanitarie coinvolte ne trarranno immediato beneficio interpretando la norma contrattuale estensivamente ed aumentando così il numero delle pronte disponibilità oltre il limite prescritto di 6 al mese.

Non solo, la più volte menzionata“specificità e competenza” che esprime, secondo la Corte, l’infermiere esperto di sala operatoria sia esso strumentista o infermiere di sala, da un lato gratifica quello che da tempo viene portato avanti come obiettivo della professione, ossia l’infermiere esperto clinico;  dall’altro è ancora più limitativa e definitoria, perché  se non fosse indispensabile, l’Azienda potrebbe certamente estendere la pronta disponibilità a tutto il personale dipendente, suddividendo quindi i turni di PD tra un più ampio numero di dipendenti e non, come accade oggi, solo tra un numero limitato di professionisti.

Certamente qui si delinea la responsabilità diretta delle parti sociali per non aver limitato, a tempo debito,  le pronte disponibilità ad un numero definito e non estensibile, ovvero di non aver collegato al loro abuso una retribuzione congrua, tale da poter così compensare i sacrifici che da tale istituto derivano e scoraggiare le Aziende dal ricorrere ad esso: se le pronte disponibilità fossero adeguatamente retribuite potete essere certi cari colleghi che le aziende non le avrebbero estese oltre il limite consentito e si sarebbero certamente organizzate in modo da avere una turnazione che copra le 24H.

Altro aspetto da non trascurare  è senza dubbio quello relativo alle spese a cui sono stati condannati i ricorrenti, sembrerebbe quasi una punizione per aver preteso giustizia, non è la prima volta che assistiamo a tali esiti, ce ne rammarichiamo poiché pur ignorando il numero esatto dei ricorrenti, crediamo che 16.000 € siano una somma eccessiva per delle spese di parcella, speriamo che  i ricorrenti siano in numero tale da non doversi pentire amaramente di essersi contrapposti ad una Azienda Sanitaria che, a loro parere, aveva abusato di un istituto contrattuale.

Auspichiamo al contempo che quando è l’Azienda Sanitaria a venir condannata alle spese di giudizio venga applicato  lo stesso criterio, viste le disponibilità pressoché infinite di una Azienda pubblica.

                                               Dott. Carlo Pisaniello



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