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Licenziamenti a seguito della riforma Fornero e del Job Act, anche questa volta l’AADI aveva ragione

Anche la Cassazione sez. lavoro con la sentenza del 9 giugno n. 11868/16 conferma la tesi portata avanti da tempo dall’AADI nella persona del suo presidente il Prof. Mauro Di Fresco, il quale, ancor prima che la Suprema Corte si pronunciasse, nutriva seri dubbi sull’applicabilità della riforma Fornero (Legge 92/2012) prima e del Job Act (Legge, 10/12/2014 n° 183, G.U. 15/12/2014) poi, riguardo ai licenziamenti nelle ipotesi di giusta causa o giustificato motivo nella pubblica amministrazione.

La pronuncia di oggi…

finalmente elimina qualsiasi dubbio che per i dipendenti con rapporto di lavoro disciplinato dal decreto legislativo 165/2001 non si applica l’art. 18 come riformato dalla Fornero L. 92/2012, bensì l’art. 18 nella sua versione originale sancito dallo statuto dei lavoratori di cui alla L.300/70.

“Ai rapporti di lavoro disciplinati dal dal d.lgs 30.3.2001 n.165, art.2 (le norme generali sul lavoro pubblico, ndr), non si applicano le modifiche apportate dalla legge 28.6.2012 n.92 (riforma del lavoro Fornero, ndr) all’art.18 della legge 20.5.1970 n.300 (lo Statuto dei lavoratori,ndr), per cui la tutela del dipendente pubblico in caso di licenziamento illegittimo intimato in data successiva all’entrata in vigore della richiamata legge n.92 del 2012 resta quella prevista dall’art.18 della legge n.300 del 1970 nel testo antecedente alla riforma

Deve quindi escludersi soltanto la tutela risarcitoria, e non anche reintegratoria, prevista in ipotesi di giusta causa o giustificato motivo: sì alla reintegra e non solo al risarcimento.

La decisione è nata da un ricorso del Ministero delle Infrastrutture contro un funzionario licenziato perché faceva il doppio lavoro, e al quale la Corte d’appello di Roma aveva riconosciuto 6 mesi di indennità risarcitoria, come prevede la legge Fornero nel caso di licenziamenti legittimi ma con violazione delle procedure di contestazione disciplinare. Il dipendente licenziato ha proposto ricorso in Cassazione poiché i fatti di rilevanza penale erano comunque caduti in prescrizione, ma il Ministero aveva comunque riavviato il procedimento disciplinare alla originale contestazione e all’esito dell’audizione aveva disposto il licenziamento per giusta causa senza preavviso per aver leso il vincolo fiduciario.

La Suprema Corte esclude che il nuovo regime delle tutele in caso di licenziamento illegittimo possa essere applicato anche ai rapporti di lavoro disciplinati dall’articolo 2 del decreto legislativo 165/01. Il collegio infatti ritiene che detto orientamento debba essere disatteso per una serie molteplice di ragioni che inducono ad escludere che il nuovo regime delle tutele in caso di licenziamento illegittimo possa essere applicato anche ai rapporti di lavoro disciplinati dall’art. 2 del D.lgs. n.165/2001.

Sebbene la norma che risulta dal combinato disposto dei commi 7 e 8 della L.92/2012, sia stata formulata in termini diversi rispetto ad altre disposizioni con le quali è stata esclusa l’automatica estensione al pubblico impiego di norme dettate per il settore privato, ai fini dell’interpretazione della Suprema Corte, sembrerebbe invece che il successivo comma 8, non sia del tutto dissimile da un’altra norma il D.lgs. n. 276 del 2003 all’art. 86 comma 8, che demanda al Ministero della Funzione Pubblica, previa concertazione con le organizzazioni sindacali, di assumere le iniziative necessarie per armonizzare la disciplina del pubblico impiego con la nuova normativa che è applicabile solo al settore privato.

In effetti nella stessa norma che disciplina il licenziamento, nulla è detto all’art. 1 in merito all’estensibilità della stessa al pubblico impiego, con la conseguenza che, in difetto di espressa previsione non può che operare il rinvio di cui al comma 8. Invero è che fino al successivo intervento normativo di armonizzazione, non si estendono ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni le modifiche apportate all’art. 18 dello statuto dei lavoratori, con la conseguenza che la tutela da riconoscere a costoro resta quella assicurata dalla precedente normativa.

Le conclusioni della suprema corte sono quindi che:

  1. La finalità della legge n. 92/2012 così come formulata all’art. 1 co. 1, tiene conto solo ed unicamente delle esigenze proprie dell’impresa privata, ponendo un’inscindibile correlazione fra flessibilità in uscita e in entrata, allargando le maglie della prima e riducendo nel contempo l’uso improprio delle tipologie contrattuali diverse dal rapporto di tipo subordinato a tempo indeterminato;

  2. La formulazione dell’art. 18, come modificato dalla legge 92/2012, introduce una modulazione delle sanzioni pensate solo al lavoro privato, che non si prestano ad essere estese al lavoro pubblico, per il quale il legislatore con il D.lgs. 150/09 ha dettato una disciplina inderogabile tipizzando anche illeciti disciplinari ai quali deve necessariamente conseguire la sanzione del licenziamento;

  3. La inconciliabilità della nuova normativa con le disposizioni contenute nel D.lgs. 165/2001 è particolarmente evidente in relazione al licenziamento intimato senza il necessario rispetto delle garanzie procedimentali, posto che il co. 6 dell’art. 18 fa riferimento al solo art. 7 della L. 300/70 e non agli artt. 55 e 55 bis del D.lgs. 165/2001 con i quali il legislatore, oltre a sottrarre alla contrattazione collettiva la disciplina del procedimento, ha anche affermato il carattere inderogabile delle disposizioni dettate “ai sensi degli artt. 1339 e 1419 e seguenti del C.C.”;

  4. Una eventuale modulazione delle tutele nell’ambito del pubblico impiego contrattualizzato richiede da parte del legislatore una ponderazione di interessi diversa da quella compiuta per il settore privato, poiché come avvertito dalla Corte Costituzionale nella sent. N. 351 del 24.10.2008 “mentre nel settore privato il potere di licenziamento del datore di lavoro è limitato allo scopo di tutelare il dipendente, nel settore pubblico il potere di risolvere il rapporto di lavoro, è circondato da garanzie e limiti che sono posti non solo e non tanto nell’interesse del soggetto da rimuovere, ma anche e soprattutto a protezione di più generali interessi collettivi”, non in virtù dell’art. 41, 1° e 2° comma, della Costituzione, ma dell’art. 97 che impone di assicurare il buon andamento e l’imparzialità della pubblica amministrazione.

Fino a quando quindi, il Ministro della Funzione Pubblica non deciderà di armonizzare la riforma Fornero con i precedenti impianti normativi in ambito di pubblico impiego contrattualizzato, tutti i dipendenti della pubblica amministrazione potranno dormire sonni tranquilli.

Carlo Pisaniello

Vice Presidente AADI

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