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La legge “Gelli-Bianco” salva il medico imperito anche se è stata accertata la colpa grave.


Commento a Cassazione sez. IV penale, 19 ottobre 2017, n. 50078

Nuovo arresto giurisprudenziale sulla nuova legge “Gelli”, il medico chirurgo al quale è stata riconosciuta la colpa grave per imperizia, viene salvato dalla novella dell’art. 6 della legge 8 marzo 2017, n. 24, la c.d. legge Gelli-Bianco.

Il tribunale di Bologna ha accertato la responsabilità dell’imputato in ordine al reato di lesioni colpose gravi in danno della parte lesa, oltre a condannarlo al risarcimento del danno nei confronti della parte civile da liquidarsi in sede civile, riconoscendo una provvisionale di 10.000 euro.

La pronuncia è stata confermata anche dal tribunale di Appello della medesima città.

All’imputato è stato addebitata la responsabilità di aver cagionato alla vittima, nel corso dell’esecuzione di un intervento di chirurgia plastica di lifting da ptosi della palpebra, una ipoestesia tattile nella zona frontale destra con consistente diminuzione della sensibilità della zona interessata ancora permanente a distanza di 5 anni dall’intervento.

La colpa è stata individuata nell’imperizia dell’esecuzione dell’intervento e non nella scelta dello stesso, imperizia che aveva determinato la lesione del nervo sopra orbitario dx.

L’incertezza sull’azione che aveva determinato tale lesione, ossia se addebitabile alla somministrazione dell’anestesia o al successivo taglio o sutura, veniva considerata irrilevante ai fini dell’accertamento della responsabilità in quanto entrambe le azioni erano state poste in essere personalmente dall’imputato.

La Corte territoriale escludeva l’applicazione della legge Balduzzi poiché l’intervento era considerato di non particolare complessità e della gravità della colpa concretizzatasi in una deviazione ragguardevole rispetto all’agire appropriato.

L’imputato ricorre in cassazione articolando il suo ricorso su tre motivi;

  1. Lamenta la violazione dell’art. 43 cod. pen. e la manifesta illogicità delle motivazioni fondate sulla consulenza tecnica (CTP) di parte civile, contrastata da quella svolta nel suo interesse . Lamenta inoltre che in mancanza di CTU da parte del P.M. o della corte di Appello, non era possibile comprendere quale fosse il corretto agire che avrebbe dovuto tenere il medico, con la conseguenza che dalla verificazione dell’intervento si è fatta direttamente discendere la responsabilità dell’imputato;

  2. Si duole inoltre della manifesta illogicità della motivazione con riferimento al diniego dell’applicazione della legge Balduzzi di cui si invoca l’applicabilità vertendosi in tema di imperizia;

  3. Con il terzo motivo lamenta la violazione degli artt. 590 e 583 cod. pen sul rilievo che la Corte di Appello aveva affermato la sussistenza della ipoestesia tattile fondandola, oltre che sulla CTP, sulle tre successive visite neurologiche, prendendo a riferimentola data dell’intervento per determinare la durata della malattia, mentre lo stato di malattia penalmente rilevante nel caso di intervento chirurgico, non poteva che partire dal momento in cui i normali postumi dell’intervento avessero trovato completa remissione.

La Suprema Corte dichiara la non manifesta infondatezza dei motivi di doglianza, motivando però alcuni aspetti essenziali.

Intanto va premesso che successivamente alla sentenza di appello è intervenuta la prescrizione del reato, non essendoci stati atti che abbiano determinato l’interruzione della prescrizione avvenuta il 13 novembre 2016.

Si devonoo per altro esaminare: il ricorso, laddove si evoca un difetto delle motivazioni della sentenza gravata e, per le ragioni che sono pendenti, le statuizioni civili su cui occorre provvedere.

Dalla sentenza non risulta evidente che il fatto non sussista o che l’imputato non lo abbia commesso o che non costituisca reato, ma non risulta neanche la contraddittorietà o insufficienza della prova.

Il ricorso è infondato a fronte di decisioni che, lette coerentemente, forniscono una visione lineare della vicenda.

Va osservato che si è in presenza di una doppia conforme statuizione di responsabilità, il che limita i poteri di rinnovata valutazione di questa Corte di legittimità, vista l’impossibilità per la Cassazione di procedere ad una diversa lettura dei dati processuali o di una diversa interpretazione delle prove, poiché è estraneo al giudizio della Cassazione il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati probatori, a meno che il giudice di merito non abbia fondato il proprio convincimento su un travisamento della prova o su una prova che non esiste, ciò che qui si  deve escludere.

Si è evocata una censura di merito fondata sulla pretesa del mancato svolgimento di ulteriori approfondimenti tecnici, ma la Corte di Cassazione non è giudice del sapere scientifico,  è solo chiamata a valutare la correttezza metodologica dell’approccio del giudice di merito al sapere tecnico-scientifico.

Il giudice di merito può fare legittimamente propria l’una o l’altra tesi scientifica, purché fornisca congrua ragione della scelta e dimostri di essersi soffermato sulla tesi che ha creduto di non dover seguire. Laddove quindi il giudice abbia rispettato tali principi, il giudizio formulato è quindi incensurabile.

Nella fattispecie i giudici, in modo convergente e con il conforto dei contributi tecnici, hanno valorizzato il tema della colpa in capo all’imputato, considerandone l’inappropriatezza rispetto al risultato che poteva e doveva essere perseguito, valutando la rilevanza sull’esito negativo derivatone per la persona offesa.

Il giudicante sia in primo che secondo grado, ha escluso l’applicazione della c.d. legge Balduzzi, avendo apprezzato la sussistenza dei profili di colpa grave che è configurabile nel caso di una “deviazione ragguardevole rispetto all’agire appropriato” ossia dell’errore inescusabile, che trova origine o nella mancata applicazione delle cognizioni generali e fondamentali attinenti alla professione, o nel difetto di quel minimo di abilità e perizia tecnica nell’uso dei mezzi manuali o strumentali adoperati nell’atto operatorio e che il medico deve essere sicuro di poter gestire correttamente, o nella mancanza di prudenza/diligenza che non devono difettare in chi esercita la professione sanitaria.

La decisione pare quindi in linea con la giurisprudenza di legittimità sopra richiamata.

Ciò detto, il caso in esame impone di prendere in considerazione la nuova disciplina introdotta dall’art. 6 della legge 8 marzo 2017, n. 24 c.d. legge “Gelli-Bianco” che ha innovato la materia in fatto di responsabilità del medico.

Dai fatti esposti in causa, emerge che la responsabilità sotto il profilo della colpa è stata individuata nella imperizia dell’esecuzione dell’intervento e non nella scelta dello stesso, imperizia che aveva determinato la lesione del nervo sovra orbitario nel corso dell’esecuzione.

L’art. 59 sexies cod. pen. introdotto con la citata legge prevede che;

  1. “Se i fatti di cui agli articoli 589 e 590 sono commessi nell’esercizio della professione sanitaria, si applicano le pene ivi previste salvo quanto disposto dal secondo comma. Qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto”;

  2. All’articolo 3 del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, il comma 1 è abrogato.

Si pone quindi il caso di valutare tale imperizia alla luce dell’applicabilità della novella se ritenuta più favorevole; la non punibilità del fatto, essendo di carattere sostanziale, è applicabile per i fatti commessi anteriormente all’entrata in vigore della succitata legge n. 24/17, anche per quei procedimenti pendenti dinanzi alla Suprema Corte, occorre quindi comprendere quale sia la portata della riforma e quali  gli effetti.

Sono altresì noti i dubbi interpretativi, quello che però è chiaro è quanto previsto all’art. 50 sexies comma 2: è stata abrogata la disciplina penale relativa alla depenalizzazione della colpa lieve, essendo stato abrogato l’intero comma 1 dell’art. 3.

Non si pone più quindi il problema della gradazione della colpa, salvo i casi nei quali la legge Balduzzi possa configurarsi come disposizione più favorevole per i reati consumatisi sotto la sua vigenza e che coinvolgono profili di negligenza e imprudenza qualificati da colpa lieve.

È altrettanto chiaro che il legislatore ha ritenuto di limitare la novella alle sole situazioni astrattamente riconducibili ad imperizia, cioè al profilo di colpa che si fonda sulla violazione delle legis artis, che ha ritenuto non punibili neanche nell’ipotesi di colpa grave.

In questo senso è risultato un ulteriore elemento di certezza, il superamento in senso restrittivo del dibattito apertosi in sede di legittimità sull’applicabilità della legge 189/12, non solo nelle ipotesi di imperizia ma anche nei casi di negligenza e imprudenza (quando le linee guida contengono regole prescrittive di particolare attenzione e cura nello svolgimento di attività considerate pericolose, investendo più la sfera  dell’accuratezza che quella dell’adeguatezza professionale della prestazione).

Sono altresì conosciute le critiche sollevate all’indomani della riforma che attengono alla rilevanza delle linee guida, così come delineate dal legislatore, ed alla difficoltà di delimitare in concreto la nozione di imperizia, da quelle confinanti e talora in parte sovrapponibili di negligenza ed imprudenza.

Bisogna inoltre tener conto della obiezione di fondo, secondo la quale in presenza di colpa grave, sarebbe difficile ipotizzare come sussistenti le condizioni concorrenti previste per l’impunità del sanitario, nel senso che sembrerebbe difficile conciliare il grave discostamento del sanitario dal proprium professionale, con il rispetto delle buone pratiche clinico assistenziali e soprattutto, che possa conciliarsi la colpa grave con un giudizio positivo di adeguatezza delle linee guida al caso concreto.

È un’obiezione degna di nota ma alla quale si può opporre il rilievo della finalità della legge; il legislatore, innovando rispetto alla legge Balduzzi, non attribuisce più alcun rilievo al grado della colpa, cosicché sia la colpa grave che quella lieve, sono entrambe ricomprese nell’ambito di operatività della causa di non punibilità.

Inoltre con il novum normativo si è esplicitamente inteso favorire la posizione del medico riducendo gli spazi per la possibile responsabilità penale, ferma restando però la responsabilità civile.

La scelta del legislatore è di non mortificare l’iniziativa del professionista con il timore di ingiuste rappresaglie, mandandolo esente da punizioni per una mera valutazione di opportunità politico criminale al fine di restituire al medico la serenità operativa così da prevenire il fenomeno della c.d. medicina difensiva.

Quindi l’unica ipotesi di permanenza della rilevanza penale dell’imperizia sanitaria può essere individuata nell’assecondamento di linee guida che siano però inadeguate alla peculiarità del caso concreto; mentre non vi sono dubbi sulla non punibilità del medico che, seguendo le linee guida adeguate e pertinenti, sia incorso in una imperita applicazione di queste.

Una scelta consapevole del legislatore che prevede, in relazione alla colpa per imperizia nell’esercizio della professione sanitaria, un trattamento diverso e più favorevole rispetto alla colpa per negligenza o imprudenza.

In conclusione nel caso in esame, pur se le sentenze di merito condivisibilmente riscontrano la grave imperizia dell’imputato, non hanno eserecitato alcuna considerazione in ordine al rispetto o meno, da parte del sanitario, delle linee guida o delle buone pratiche.

Pertanto sarebbe necessario, per giudicare la non punibilità dell’odierno imputato, un annullamento con rinvio alla corte territoriale, che risulta di fatto inibito dalla sopravvenuta prescrizione e dalla impossibilità di prosciogliere l’imputato con formula più favorevole, pertanto in ossequio ai principi della sentenza di Appello, si dispone l’annullamento senza rinvio della sentenza agli effetti penali, per l’intervenuta prescrizione del reato.

Ai sensi dell’art. 578 cod. pen. il ricorso va rigettato agli effetti civili, tenuto conto delle considerazioni sopra svolte in ordine alla coerenza e logicità della motivazione della sentenza impugnata, laddove ha riconosciuto la condotta gravemente imperita dell’imputato e la sua efficienza causale nel determinare l’effetto lesivo.

Il giudice investito procederà ad una nuova determinazione del quantum del risarcimento e provvederà a modularlo secondo le indicazioni di cui all’art. 7 della legge 24/17.

Ulteriore sentenza che dimostra le finalità e le ragioni per le quali è nata la legge Gelli-Bianco, ossia la depenalizzazione dei reati dovuti a imperizia professionale anche quando è dimostrata negli aspetti probatori  e tecnico-scientifici.

Per combattere il fenomeno della medicina difensiva, fenomeno che aveva permeato ogni ambito della sanità nazionale con il ricorso ad inutili e costose indagini ai fini di scongiurare o ritardare gli interventi chirurgici ed errori da malpractice, si è deciso di sacrificare, almeno dal punto di vista delle risultanze processuali ai fini penali, le giuste pretese di quei pazienti che hanno subito lesioni anche gravi o di quei familiari che hanno perso per sempre un loro stretto congiunto e che non avranno mai la soddisfazione di vedere giustamente punito il sanitario imperito che insiste nella sua attività dannosa, pur se dimostrato solo processualmente.

Per altro va detto che la giurisprudenza si era già indirizzata verso la strada della non punibilità dell’imperizia a seguito della riforma Balduzzi e degli arresti giurisprudenziali più volte adottati, infatti i parametri della previgente disciplina, adottati per affermare la penale responsabilità del medico, erano quelli che prevedevano necessario dapprima verificare la sussistenza del nesso di causalità tra la condotta dell’imputato e l’evento lesivo, per poi effettuare una misurazione oggettiva della colpa, la quale infine, laddove risutasse di grado “lieve”, escludeva la penale responsabilità del medico.

Diverso è l’atteggiamento della giurisprudenza civile che continua a condannare al risarcimento dei danni i responsabili degli eventi lesivi o mortali, magra consolazione per i familiari delle vittime che dovranno limitarsi ai soli risarcimenti danni.

Dott. Carlo Pisaniello

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